7 Mar [12:33]
Qualifiche rollerball
Stefano Semeraro
Lo sport-business, quello dove contano solo i dané, è ormai da anni una realtà quasi compiuta, ma ogni volta che si palesa nella sua vera natura mi coglie sempre, istintivamente, un moto di sorpresa. Prendete il nuovo format delle qualifiche di F.1. Una specie di rollerball applicato alle corse d'auto, tutti in pista a scannarsi contemporaneamente per 7 minuti 7, poi l'eliminazione progressiva delle 'lumache' e infine la sfida faccia a faccia, come in un vecchio duello del far-west. L'importante è che l'adrenalina sia sempre a mille, che imperi lo show: poco importa poi, se lo show è artificiale, innaturale, magari anche pericoloso.
Cosa succederà nei circuiti cittadini stretti come Monte-Carlo? Come si comporteranno i più veloci ostacolati – più o meno volontariamente – dai più lenti? E se lo show dovesse trasformarsi in caos? Domande inutili. Nel caso, si cambierà un'altra volta, in meglio o in peggio, in fondo importa poco. L'importante è trovare sempre nuovi stucchi per coprire le magagne, o qualche effetto speciale che sia in grado di mascherare la nudità del re. Sì, perché se la F.1 - ma anche tanti altri sport presi da un desiderio a volte schizofrenico di cambiamento 'per adeguarsi ai tempi' - non fa che stravolgere regole e abitudini vuol dire, forse, che il problema è lo sport stesso.
A forza di stravolgerlo lo abbiamo perso di vista, non ci interessano più i suoi contenuti, ma la sua confezione. Se vogliamo abolire la mischia nel rugby – perché rallenta il gioco – vuol dire che non ci piace più il rugby. Se vogliamo accorciare il tennis – perché gli scambi ci sembrano troppo lunghi – vuol dire che il tennis ci appare noioso (troppi muscoli e poca arte? Ma da quanto lo ripetiamo...). Se vogliamo una F.1 fatta di sorpassi posticci e di autoscontri in qualifica – perché se vince sempre Hamilton la gente cambia canale... – vuol dire che non sappiamo più cosa è la F.1. Un mondo che da tempo ha perso le sue radici (i team) senza essere riuscito a trapiantarsi con successo in un altro terreno (quello della grande industria e dei grandi costruttori). E che quindi non ha più un'identità.
Come diceva il grande Yoghi Berra, «quando non sai dove andare, è facile che ti ritrovi da un'altra parte». Ecco, prima di cambiare di nuovo strada la F.1 forse dovrebbe capire che destinazione ha in mente di raggiungere.