9
Stefano Semeraro
Boicottate il Bahrain, fermate la F.1. Sono le
associazioni che lottano per i diritti umani,
anche dello stesso piccolo stato degli Emira-
ti Arabi, che chiedono a piloti e team di spe-
gnere i motori ad aprile, quando è previsto
che il Circus faccia tappa nel piccolo e tor-
mentato regno del Golfo. L’anno scorso il GP
del Bahrain, come è noto, fu prima rimanda-
to e poi annullato a causa dei tumulti sociali
e militari che durante la Primavera araba
hanno spazzato tante nazioni del Medio
Oriente, e che a Manama e dintorni sono
costati 300 vite (o addirittura 1000 secondo
altre fonti). Nonostante la situazione da quel-
le parti sia tutt’altro che stabilizzata, Ecclesto-
ne, testardo e attaccato al soldo come sempre,
ha fatto di tutto per reinserire l’appuntamen-
to quest’anno. «Il GP si farà, non importa
cosa ne pensano team e piloti», ha dichiara-
to arrogante il Supremo, uno non certo famo-
so per le sue idee politiche progressiste (qual-
che anno fa fece un elogio di Hitler, poi cor-
resse il tiro). «E noi porteremo avanti una
campagna per il boicottaggio», ha replicato
Nabeel Rajab, vice presidente del centro per
i diritti umani del Bahrain. «Il governo vuole
la F.1 per mostrare al mondo che tutto è tor-
nato alla normalità. Se la F.1 verrà aiuterà il
governo a sostenere la sua tesi. Noi preferim-
mo che team e piloti non prendessero parte
alla gara. Sono sicuro che tutti loro rispetta-
no i diritti umani». Ottimista.
AncheMariwanHama-Saeed, che sostiene la
causa dei diritti umani da New York, è peral-
tro convinto che la F.1, in quanto spettacolo
sportivo di livello mondiale, dovrebbe resta-
re lontano da un posto così caldo e contro-
verso. «La FIA dovrebbe considerare bene le
violazioni ai diritti umani che avvengono in
Bahrain – ha dichiarato – e il fatto che le
autorità locali ancora oggi reprimono le pro-
teste di chi invoca la democrazia. Dubito che
la F.1 possa avere successo in un Paese dove
avvengono queste ingiustizie. La situazione
politica è ancora instabile, e siamo molto
preoccupati rispetto all’impegno del governo
di applicare riforme efficaci». Le autorità del
Bahrain hanno risposto all’attacco con un
comunicato in cui si sostiene che l’anno scor-
so Hamad bin Isa Al Khalifa, il Re – un sun-
nita tradizionalista appoggiato dall’Arabia
Saudita e dal sempre più influente Qatar –
ha commissionato un rapporto indipenden-
te sulle violazioni dei diritti umani. «Il rap-
porto ha trovato prove di violazioni e ha
avanzato delle raccomandazioni», ammette
il comunicato. «Il Governo ha pienamente
riconosciuto le conclusioni dell’indagine e
sta agendo in maniera decisa e convincente
in accordo con le raccomandazioni. Il GP del
Bahrain è una parte fondamentale dell’eco-
nomia locale, è supportata dalla stragrande
maggioranza della popolazione e rappresen-
ta un segno di unità nazionale. Il rapporto è
stata una pietra miliare per il Bahrein e ora
lavoreremo senza tregua per assicurare che
la gara sia un grande successo». Una conclu-
sione su cui è lecito coltivare molti dubbi,
quest’ultima. Lo sport nei Paesi non retti da
una democrazia è stato spesso molto più in
veicolo di propaganda che un fattore di “uni-
tà nazionale”, e anche se anche nel Bahrain
esisteranno molti fan appassionati della F.1
al momento da quelle parti ci sono decisa-
mente questioni più vitali di cui occuparsi.
Boicottaggio, quindi? Ci pare – purtroppo –
impossibile che l’iniziativi trovi grande
appoggio, se non in maniera individuale, nel
paddock della F.1. Sport e politica sono
entrati in conflitto tante volte nel corso del
Novecento, tre Olimpiadi, quelle del 1976,
del 1980 e dell’1984, sono state segnate dai
boicottaggi – rispettivamente delle nazioni
africane indignate dall’apartheid, dagli Usa
e dall’Urss – che avevano minacciato anche
quelle del 1936 a Berlino, fortemente volute
da Hitler per celebrare la gloria sportiva
“ariana”. Nel tennis, Panatta & Co rischiaro-
no di non giocare anche la finale di Coppa
Davis a Santiago del Cile per la protesta poli-
tica organizzata contro la dittatura dalla sini-
stra politica italiana (e il Cile a quella finale
arrivò anche grazie al rifiuto politico del-
l’Unione Sovietica di incontrare la nazione
sudamericana nella finale inter-zone), e gli
esempi potrebbero continuare. Anche i Gio-
chi di Pechino del 2008 sono stati a lungo a
rischio boicottaggio, proprio per questioni
legate allo scarso rispetto dei diritti umani in
Cina, mentre è recente la decisione dellaDow
Chemical Company, la multinazionale chi-
mica colpevole del disastro di Bophal, di riti-
rare il proprio logo dallo stadio olimpico di
Londra in occasione dei Giochi della prossi-
ma estate in seguito alla protesta del Comi-
tato Olimpico indiano. Tutte questioni di
coscienza, ma la coscienza, si sa, davanti alle
ragioni dell’economia quasi sempre mette la
mano alla benda: meglio non vedere. A
Pechino, alla fine, il boicottaggio non c’è sta-
to – troppo intensi i rapporti commerciali fra
Cina e resto del mondo… -, difficilmente Vet-
tel, Alonso o Hamilton, o Red Bull, McLaren
e Ferrari, decideranno di incrociare i volan-
ti. Con la crisi ancora ruggente, i soldi etica-
mente discutibili, ma spendibilissimi, del
Bahrain fanno gola a tanti, non solo ad Eccle-
stone. In tanti, purtroppo, si limiteranno ad
aprire il motorhome e ad abbassare la visie-
ra su quello che succede intorno al tracciato.