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GP CINA
MERCEDES
Stefano Semeraro
«La F.1 è quella cosa in cui si corre in 20, e alla fine di solito vinco-
no gli inglesi». Rivoltiamo, parafrasiamo la famosa frase sul foot-
ball, lo sport che secondo i british si gioca in undici e nel quale, alla
fine, di solito vincono i tedeschi – e otterremo la chiave della rina-
scita della Mercedes. Non la scuderia delle frecce d’argento di pri-
ma e dopo la guerra, ma un team che di tedesco ha i motori e gli euro
pesanti stampati in Germania, e per il resto, dal cuore al cervello,
funziona e sogna in inglese. Come ha ricordato Enrico Benzing su Il
Giornale: «Questa è una British-Mercedes, fabbricata a Brackley e
non a Stoccarda, nell'’atelier di Ross Brawn, avuto in regalo - una
sterlina all'acquisto - dalla Honda, con motori costruiti a Brixworth,
vicino alla Cosworth, in Inghilterra, nei capannoni della ex-Ilmor,
dove è stato realizzato il motore più leggero dell'intera Formula 1,
dopo che sul capo del fondatore e comproprietario, Mario Illien,
sono piovuti vagoni di Deutsche Mark». Da quindici anni e forse di
più in fondo sono loro, Brawn e Adrian Newey, il duca di Wellington
e l’Orazio Nelson del motorismo d’Oltremanica, a spadroneggiare in
lungo e in largo nella Massima Serie. Newey muovendosi quasi sem-
pre con soldati di casa, Brawn riuscendo anche a far funzionare eser-
citi stranieri – la Ferrari, la Honda (così così, ma i giapponesi…), ora
la Mercedes –ma sempre con un metodo suo, con le sue idee e a vol-
te con i suoi trucchi: vedi i diffusori e il fondo del 2009, o l’F-duct
di quest’anno. Certo, Mercedes è un nome che ne evoca altri gran-
dissimi, a partire da JuanManuel Fangio, e che può vantare una tra-
dizione e un allure fantastici, e Bernie Ecclestone come si sa gongo-
la quando può vedere allineati sulla griglia gli stemmi più nobili del
motorsport. Ma non ha molto senso, se non per vezzo storico, col-
legare l’ultima vittoria in F.1 colta con il marchio della stella nel 1955
con quella ottenuta da Nico Rosberg in Cina.
Ai tempi di Fangio la Mercedes era un blocco di efficienza teutoni-
ca, oggi è un colosso che muove e finanzia soprattutto l’intelligen-
za di Brawn e dei suoi uomini. Un genio che è riuscito ai tempi di
Maranello a trasformare una Scuderia nobile e perdente in una mac-
china da guerra, che poi ha saputo usare i capitali e l’insofferenza
della Honda per edificare il più sorprendente successo degli ultimi
vent’anni, con la Brawn, e che da un paio d’anni, con la sua pazien-
za da orso, ha iniziato a convincere persino i tedeschi a fare come
dice lui. Il 2012 ha tutta l’aria di poter diventare l’anno del grande
ritorno al vertice assoluto delle monoposto anglo-tedesche. Brawn
ha messo il primo tassello con l’f-duct che – del tutto legalmente,
come ha dimostrato la FIA – riesce a convogliare aria dal posterio-
re all’anteriore per donare alla W03 una velocità di punta eccezio-
nale nei rettilinei. In Cina ha completato l’opera sciogliendo final-
mente il rompicapo-gomme. «Penso che se riesci a gestire bene le
gomme, puoi ottenere i risultati che abbiamo colto noi in Cina – ha
spiegato-. Noi siamo riusciti a farle funzionare, gli altri no, e questa
sarà la caratteristica di tutta l’annata». Puntare più sullo sfruttamen-
to delle gomme, sulla finestra giusta di utilizzo, più che vagare trop-
po alla ricerca di prestazioni esasperate, questa è la filosofia di
Brawn. In Australia, la Mercedes aveva bruciato le sue Pirelli, in
Malesia non era riuscita a farle scaldare abbastanza. In Cina la pau-
ra era centrata su temperature che minacciavano di scendere mol-
to. «Non volevamo che si raffreddassero troppo, perché quando le
gomme si raffreddano iniziano a sgranarsi, e fai in fretta a mancare
la finestra di utilizzo. Abbiamo capito in anticipo che sarebbe stato
un po’ più caldo del previsto, e ci siamo regolati di conseguenza con
il set-up, poi James Vowles, il nostro uomo delle strategie, ha inter-
pretato benissimo la gara con i due stop». Un capolavoro molto bri-
tish, per la panzer divisionen della F.1.