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FORMULA 1
RED BULL
Stefano Semeraro
Sono le due metà combacianti di un progetto perfetto, le tessere
più importanti del quel puzzle di successo che si chiama Red Bull.
Il pilota che si diverte a fare l’ ingegnere e l’ingegnere che si diver-
te a giocare al pilota. Adrian Newey e Sebastian Vettel sono le due
sponde di un sogno blu che non accenna a sbiadirsi, i due uomini
chiave di quello che rischia di diventare un tris da leggenda. E’ sta-
to quando la Red Bull è riuscita a sedurre il Genio di Stratford che
la creatura di Herr Mateschitz ha preso forma, ma c’è voluto un
Vettel per darle la forma definitiva. Il genio inglese dell’aerodina-
mica, il progettista più innovativo vincente degli ultimi venti anni
anni è sicuramente l’elemento che ha innescato la rivoluzione blu
del Circus. Il nipotino di Schumi, tedesco gioviale che quando vin-
ce sa essere spiritoso e scanzonato, ma quando perde diventa
ombroso, da quando è maturato e ha iniziato a sbagliare meno,
anzi a non sbagliare quasi nulla, stranamente sembra la versione
umana di uno dei tanti progetti vincenti di Newey: sempre al limi-
te, sempre al massimo, perfetto quando tutto gira per il verso giu-
sto, spigoloso e difficile da maneggiare quando qualche dettaglio
si mette di traverso. Se con gli anni Newey si è rassegnato (be’,
insomma, quasi) a venire a patto con regolamenti che non gli piac-
ciono, con l’avanzare dell’età Sebastian ha capito che anche in
pista qualche volta bisogna abbozzare, contenere, difendersi. Ma
non appena può parte all’attacco. Non è ancora un trascinatore
come Alonso, e forse non lo sarà mai, ma ha imparato a non scon-
fortarsi troppo. Newey ama le piste e le macchine di tutte le forme
e dimensioni, da quelle giocattolo – di cui è un appassionato fin
dall’infanzia, e sulle quali ha scritto persino un libro – a quelle più
veloci del mondo. Le sogna, le progetta, e le guida. Dopo una car-
riera da pilota nelle gare revival nel 2007 ha partecipato anche a
una 24 Ore di Le Mans (su una Ferrari!), in agosto alla guida di
una Ginetta si è persino schiantato a Snetterton. Vettel, da parte
sua, è un pilota che ama passare ore con gli ingegneri, discutere
con loro, cercare di carpire i segreti più intimi di una vettura.
Sarà un caso, ma tutti e due amano battezzare le vetture che pro-
gettano (Newey) e guidano (Newey e Vettel), dare loro un nome.
Per renderle ancora più umane, forse per poterle coccolare, sedur-
re, magari per prenderle a male parole quando le cose vanno male.
A Newey piacciono i nomi maschili, ha una Ferrari di nome Bru-
no e una Ford di nomeMonty; a Vettel quelli femminili: dopo Julie,
Kate, Luscious Liz e Kinky Kylie quest’anno la sua “gir-
lfriend” di carbonio si chiama Abbey, come una delle cur-
ve di Silverstone. Di Vettel, al geniale Adrian piace una
cosa: la sua tempra di lavoratore, di collaudatore
instancabile. Di Newey, al velocissimo Seb piace
soprattutto il fatto che sia in grado di fornirgli
sempre una macchina vincente. E’ successo nel
2010,
nel 2011, sta accadendo di nuovo nel
2012,
dopo qualche incertezza a metà campio-
nato. L’abolizione degli scarichi soffiati aveva
tolto alla Red Bull il vantaggio accumulato
negli ultimi due anni, lo sbuzzo di Newey ha
rimediato al problema. Quest’anno, hanno
contestato prima il disegno dei mozzi, poi
quello del fondo, lui ha sbuffato un po’,
ma subito è tornato a cavare genialate
dai suoi quadernini scritti a matita,
dai suoi fogli di progettazione riem-
piti con il rapidograph. Prima è
venuto il “doppio DRS”, poi gli
ultimi sviluppi, testati da
Buemi al volo a Milton
Keynes, che hanno resti-
tuito alla Red Bull un van-
taggio tecnologico. E a
Vettel la sicurezza di avere
un mezzo capace ancora una
volta di combattere ad armi
pari, se non superiori, con Fer-
rari e McLaren. Quando Seb è in
fiducia, quando si sente amato e
vezzeggiato, stargli dietro diventa un problema, lo
si è visto in Corea. Nel 2014 dicono che lascerà la
Red Bull per trasferirsi alla Ferrari, intanto ha
messo il naso avanti nel Mondiale, e con i “bibi-
tari” progetta il terzo titolo consecutivo, un’im-
presa riuscita solo a Fangio e Schumacher. Se
poi fra due anni riuscisse anche nell’impresa di
portarsi dietro Newey a Maranello, ecco, quel-
lo sì che sarebbe un colpo da maestro che fino-
ra non è riuscito a nessuno. Un colpo doppio.