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IL RICORDO
GUIDO FORTI
Guido Schittone
foto: Actualfoto
Lo vedevi nel paddock e non potevi fare a
meno di rispondere alla sua chiamata. Ti
fermavi e sapevi già come sarebbe andata.
Perché Guido Forti aveva il dono di sdram-
matizzare imomenti e le corse, allegoria del-
la vita e del personaggio che permettevano
di accettare le regole del gioco; vittoria e
sconfitta, trattate con la stessa identica iro-
nia. Con dignità e decoro, orgoglio e consa-
pevolezza. Per questo Forti aveva il potere
di accompagnarti sempre nei suoi territori
preferiti. Raccontava di quando a Genova
frequentava i teatri di rivista, non perdendo
uno spettacolo dei grandi artisti della sua
gioventù, quelli che noi di altri decenni ave-
vamo intravisto nel bianco-nero della prima
televisione o che si erano fissati nei ricordi
di famiglia. Imitava alla perfezione Wanda
Osiris intonando “Parlami d’amor” o “Sen-
timental”, canzoni da rivista che avevano
nutrito la generazione italiana precedente
alla sua, nata allo scoppiare della seconda
guerra, e che poi avevano proseguito a illu-
minare gli occhi e il cuore dei ragazzi di
un’Italia in fase di ricostruzione. Forti par-
lava di teatro con la stessa competenza del-
l’automobilismo. Sapeva tutto ed era amico
degli artisti. Ti elencava i prodigi del giova-
ne Walter Chiari o di Macario, dei “suoi”
Ricchi e Poveri con i quali aveva percorso un
tratto di strada in comune. E si stava lì ad
ascoltarlo, quasi fosse un’oasi in un deserto
composto da sospensioni, scocche e aletto-
ni. Ma quando ritornava alle corse, si face-
va serio e analizzava il lavoro della sua vita
comprendendo spesso in anticipo cosa
avrebbe funzionato e cosa no. Le conosceva
troppo bene, perché era partito dal basso,
senza clamore, senza presunzione, con la
concretezza e la testardaggine dei piemon-
tesi, con pudore, dignità. Ne possedeva
competenza a 360 gradi: era proprietario di
una squadra, ma allo stesso tempo, nei pri-
mi anni, forniva i pezzi di ricambio a tutte le
altre. Ed era difficile compisse errori di valu-
tazione. Con Paolo Guerci, il suo alter ego,
si divideva i compiti. A lui spettava l’orga-
nizzazione, a Paolo, quello che da giovane
aveva i capelli lunghi da beat generation, la
gestione tecnica. Due caratteri all’apparen-
za diversi: ironico e beffardo Guido, finto
borbottante e cocciuto Paolo. Poli all’oppo-
sto di una struttura unica. Una grande cop-
pia, capace di slanci umani grazie ai quali i
loro piloti hanno sempre avuto la certezza
di appartenere a una squadra, a un gruppo.
Assieme sono stati i grandi interpreti del-
l’automobilismo italiano che voleva affran-
carsi dai confini nazionali. Passo dopo pas-
so, da vittoria a vittoria, la Forti Corse ha
lanciato piloti importanti, ha trionfato in F.
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e in F.3000, in anni in cui anche ben figu-
rare era un motivo di orgoglio. Non si bara-
va con il talento all’epoca, o eri capace onau-
fragavi in mezzo a una marea di avversari.
Non è necessario raccontare il curriculumdi
Guido Forti: le tabelle, gli archivi e gli albi
d’oro sono a disposizione di chiunque. Ha
vinto ovunque. Solo in F.1 gli è andata male
ma per altre questioni: tradimenti improv-
visi, conti che non quadravano, finanzia-
menti promessi e mai arrivati. Ne uscì scon-
fitto, ma a testa alta, ferito nell’orgoglio di
chi poteva anteporre la trasparenza di fron-
te a chiunque. Sicuro di potersi guardare
allo specchio sempre e fino all’ultimo gior-
no. E sorridere pensando a Wanda Osiris e
di quanto aveva conosciuto del mondo.
Morbidelli a Monaco nel GP F.3 del 1989