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LA VITTORIA
Hamilton ha lasciato la McLaren per la Mercedes, una
scelta fatta lo scorso settembre che ha suscitato
scalpore, ma che proietta il pilota britannico in una
nuova dimensione. E intanto i test pre campionato con
la W04 sono stati positivi tanto da farlo inserire nel
ruolo di terzo incomodo per Alonso e Vettel
Stefano Semeraro
Ci sono i cervelli in fuga, quelli che scappa-
no da un Paese che non offre loro opportu-
nità, futuro e sogni in dosi sufficienti. Ma
esistono anche i caschi in fuga, quelli che
dopo una vita passati nel cortile più como-
do hanno bisogno di assaggiare voli più
alti, orizzonti più vasti. Dall’isola al conti-
nente, la voglia è quella di non sentirsi più
circondati da troppi ostacoli, di correre in
pianure che non hanno confini. Lewis
Hamilton, in questi tempi di crisi nera, è
un emigrante di superlusso, uno di
quelli che hanno deciso di espatriare
non perché faticano a far quadrare
i conti del mese, ma perché non
riescono ad arrivare in fondo
alla stagione: da campioni,
oltre che da ricconi. Il suo
clamoroso “tradimento” a
favore della tedesca Mer-
cedes è stato il movi-
mento clou del merca-
to. Quasi tutti lo ave-
vano sconsigliato
di fare il grande
passo, ora qual-
cuno si sta
ricredendo.
I test han-
no detto
che la
Mer-
cedes è lì, in testa ai tempi, che forse in
inverno non contano poi troppo, ma che è
comunque meglio fare, piuttosto che non
fare. «Alla Mercedes mi sento benissimo,
perché mi sento desiderato», ha detto il
ragazzo di Stevenage in questi giorni, con
un lessico più da amante che da pilota. La
culla della McLaren, la casa dove era nato
e cresciuto era ormai diventata una gabbia
dorata, e il quasi fallimento della monopo-
sto dello scorso anno ha fatto il resto.
Hamilton è volato lontano dal nido, ma
anche da impegni con lo sponsor che non
hamai amato tanto, e lo ha fatto – oltre che
per i tanti soldi che i tedeschi gli garanti-
vano - per inseguire il sogno di un nuovo
Mondiale.
E’ stato abituato fin da ragazzino a sentir-
si il migliore, il più dotato, «quello che fa
sorridere i fantasmi di Ayrton Senna e Gil-
les Villeneuve», come ha scritto Paul Wea-
wer sul Guardian. Possibile che di titoli, si
è detto il fenomeno qualche tempo fa, ne
abbia vinto uno solo? Sebastian Vettel e a
quota 3, Fernando Alonso a 2, Lewis a 28
anni non può permettersi di sprecare altro
tempo. Sogna di diventare per la Mercedes
quello che Michael Schumacher è stato per
la Ferrari, un amatissimo e trascinante
mercenario, e di farsi ripagare con la glo-
ria. Ha il talento, l’età, le motivazioni per
essere quest’anno il terzo litigante che gode
della rissa agonistica fra Vettel e Alonso, ha
l’arroganza necessaria a non sentirsi
secondo a nessuno, e il bisogno infernale
di arrivare prima di tutti che ancora gli bru-
cia dentro. Qualcuno dubita che possieda
la dedizione, la concentrazione, la testar-
daggine necessaria a conquistarsi la fidu-
cia totale di un team, e a contribuire in
maniera determinante allo sviluppo di un
progetto. Ma con una macchina già veloce,
Hamilton diventerebbe il leader ideale, la
punta capace di segnare sempre, l’unico
concorrente, forse, in grado di far preoccu-
pare davvero Alonso e Vettel.
«
La rivalità con Button non mi eccitava
tanto – ha dichiarato recentemente – è
Alonso quello che voglio battere. Anche
sconfiggere Vettel è importante, ma il più
veloce e il più esperto di tutti è Fernando».
Fra i due le incomprensioni nate ai tempi
della McLaren sono state sostituite da una
sana stima reciproca, ma guai a scambiare
gli omaggi per arrendevolezza. Hamilton è
sbarcato in Germania perché è convinto di
poter trovare lì la sua Ferrari. La forza del
suo legame con la Mercedes sta anche nel-
l’atmosfera da sfida decisiva, da ultima
spiaggia che lega la factory tedesca (la cui
sede operativa però è in Gran Bretagna, a
Brackley, non troppo lontano da quella di
Woking della McLaren) al geniaccio ingle-
se: la Stella non può permettersi altre
cadute, Lewis non può perdere altro tem-
po. Il casco di Lewis è si in fuga dal suo
passato, ma la sua non è l’evasione di un
campione stanco, è una fuga per la vittoria
di un talento, nonostante tutto, ancora
incompiuto.