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NON C’È (TROPPO)
DA SCANDALIZZARSI.
MA PER FAVORE
NIENTE FINZIONI
di Guido Rancati
Non sono sotto i riflettori come i loro colleghi che lavorano nel Circo Massimo. E non
operano sotto la stretta sorveglianza dei loro “padroni”. Ma anche a quelli che di
mestiere dirigono una squadra impegnata nei rally è capitato, capita e capiterà di pren-
dere decisioni non facili. Di occuparsi di scelte strategiche e di dare ordini ai rispetti-
vi piloti. Di decidere chi deve vincere e chi deve perdere. Fa parte del gioco e lo san-
no.
Non è stata una decisione né facile, né difficile. E’ stata solo logica”. Così ebbe a dire
David Richards in un pomeriggio di sedici anni fa sul lungomare sanremese, alla fine
di un rally che Piero Liatti e Fabrizia Pons avrebbero vinto, se non avesse intimato
loro di perdere tutto il tempo necessario a farsi scavalcare da Colin McRae e Nicky
Grist. Non aveva esitato, il presuntuoso team principal inglese, a privare i due italia-
ni della vittoria davanti alla loro gente per puntellare le ultime, poche, speranze del-
lo scozzese di conquistare un titolomondiale già ipotecato da TommiMakinen. E l’ave-
va fatto all’ultimo momento, quando il biellese s’era convinto che nessuno l’avrebbe
trasformato in agnello sacrificale, quello da immolare sull’altare della ragion di stato.
Un episodio, uno dei tanti di cui la storia delle corse – anche di quelle su strada – è
infarcita. C’è di tutto, nel capitolo delle classifiche riscritte dai direttori sportivi. C’è il
McRae fermato sempre da Richards sul viale d’arrivo di un Catalunya a favore di Sainz,
c’è il testa a testa sul Turini fra Miki Biasion e Juha Kankkunen inventato da Cesare
Fiorio, c’è la monetina lanciata in aria da Jean Todt a una Dakar. E c’è la farsa sanre-
mese dell’86, quando, messe fuori con scelta sospetta dai federali le Peugeot, Fiorio
non s’era fatto problemi a usare i propri piloti come marionette penalizzando Biasion
per far vincere Alen e per assicurare a Cerrato i punti utili a dargli il tricolore.
Non c’è neppure (troppo) da scandalizzarsi. Ma sarebbe bello che chi mischia le car-
te fosse pronto anche ad ammetterlo. Come fece MalcolmWilson a un Acropoli, dan-
do alle stampe un comunicato nel quale annunciava, prima ancora che la tappa con-
clusiva iniziasse, di aver ordinato a McRae e a Sainz di cessare le ostilità e mantene-
re le posizioni. Come, qualche anno prima, in Svezia, aveva fatto AndrewCowan quan-
do era stato chiaro che la neve che continuava a scendere sul Varmland avrebbe pena-
lizzato troppo Kenneth Eriksson, che era in testa, e favorito troppo Tommi Makinen.
La chiarezza non aveva evitato al boss della M-Sport di finire crocefisso dall’isterica
stampa iberica istigata dal madrileno e a quello della RalliArt le critiche più feroci da
parte dei giornali finlandesi e, soprattutto, di quelli svedesi che proprio non ce la face-
vano ad accettare che un loro connazionale avesse vinto perché il suo avversario era
stato frenato. Al nord, è piuttosto noto, certi valori non sono negoziabili…
L’operazione era già pianificata: ad Andrea Aghini, tornato in
testa poco dopo che la terra toscana aveva lasciato il posto
all’asfalto ligure, sarebbe stato ordinato di rallentare per
riconsegnare il primo posto a Juha Kankkunen. E in uno
spiazzo sul Colle San Bartolomeo, Claudio Bortoletto ne
aveva fatto partecipe il finlandese. All’italiano l’avrebbe
detto dopo. Kankkunen aveva ascoltato senza fare una piega
e nemmeno un plissè. Senza aprir bocca era tornato a
infilarsi nell’abitacolo della Delta e s’era avviato verso la
prova successiva. A rompere il silenzio ci aveva pensato Juha
Piironen: “Davvero te la senti di togliere a un giovane la sua
prima vittoria e di farlo proprio in quella che è la sua gara di
casa?”, aveva buttato lì il copilota. “Hai dimenticato cosa
provammo al Monte-Carlo quando ci dissero che avrebbe
dovuto vincere Biasion?”, aveva aggiunto. Giovanni non
l’aveva dimenticato e via radio informava il diesse lancista
che non se ne sarebbe fatto niente: “Se Aghini rallenta,
rallento anch’io; se lui paga a un controllo, pago anch’io”.
Quando Kankkunen disse no