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FORMULA 1
IL FATTO
Stefano Semeraro
Il calcio in Europa sta diventando un cam-
po di battaglia fra russi e arabi. Dal Man-
chester City al Psg, dalMonaco all’Arsenal,
al Chelsea, sono i nuovi ricchi del terzo
millennio – con qualche eccezione ameri-
cana qua e là.. - i veri padroni del pallone.
E’ questo anche il destino della Formula 1?
Può darsi di sì, e probabilmente a Bernie
Ecclestone, uno che ha sempre annusato
benissimo dove tirava il vento del denaro
che odora, e non puzza mai come ben
sappiamo – non avrebbe nulla da eccepi-
re.
Il rapporto fra F.1 e investitori arabi non è
certo una novità, basti pensare agli spon-
sor sauditi dellaWilliams negli anni ’80 (la
famiglia Bin Laden). Ma ora che il busi-
ness sta raggiungendo cifre difficili da rag-
giungere per i ricchi “normali” anche il
Circus potrebbe diventare presto una
dependance di Mosca, di Doha, Abu Dhabi
e Dubai, come è già successo alla Premier
League inglese.
Da qualche anno i nuovi circuiti stanno del
resto fiorendo proprio dove abbonda con-
cime economico più fresco: Dubai, Abu
Dhabi, Bahrain, e poi India, Cina, dal 2014
la Russia. La Marussia e la Force India
sono gli esempi di team foraggiati dai nuo-
vi ricchi dell’est (europeo e asiatico), ma
ora anche nella Lotus sono entrati capitali
arabi. A investire nel teamdi Gerard Lopez
recentemente infatti è stata la Infinity
Racing, una nuova società finanziaria che
nel gioco della sua struttura societaria
annovera come azionisti l’Universal
Sports Group LLLC, che ha sede nel Bru-
nei. Il sultanato forse più famoso e ricco
del mondo è un grande produttore di
petrolio, e il sultano del Brunei stesso pos-
siede un patrimonio personale stimato di
19
miliardi di dollari e una collezione di
7000
macchine. Il fratello del Sultano, il
principe Jefri, è poi un patito di F.1 e negli
’90
sponsorizzò la ferrari attraverso il
marchio Asprey. Un trenta per cento della
Infinity è controllato poi dal business ame-
ricano, ma di chiara origine medio-orien-
tale, Mansoor Ijaz, mentre il terzo restante
è nelle mani di un fondo di investimento
privato, Al Mahal International, che ha
sede in Abu Dhabi.
Uno degli sponsor strategici della F.1 al
momento del resto è la compagnia aerea
Emirates, la stessa che ha dato il nome allo
stadio dell’Arsenal e che è anche la linea
aerea ufficiale del circuito professionistico
maschile di tennis. Un colosso del settore
che ha sede in Dubai, e che nello scorso
febbraio ha firmato un accordo di cinque
anni come partner globale del Circus, per
una cifra stimata di 272 milioni di dollari.
Khaldoon Khalifa Al Mubarak, il direttore
esecutivo del fondo di investimento di Abu
Dhabi “Mubadala” fa parte del board deal-
la Ferrari. Mubadala ha interessi anche
nella scuderia Spiker, oltre che nel com-
plesso di YasMarina che ospita il Gp di F.1.
Hanno base nell’emirato anche i fondi
governativi che sponsorizzano la Toro
Rosso – e fu il fondo sovrano Aabar Inve-
stments a comprare nel 2009 la Brawn GP
campione del mondo in joint-venture con
la Daimler - mentre il Bahrein possiede il
50
per cento della McLaren. E lo sceicco
del Bahrein Abdullah bin Isa al-Khalifa è
uno dei 26 componenti il board della Fia.
Se allarghiamo poi il discorso all’industria
autombilistica in generale, le partecipazio-
ni di capitali medio-orientali diventano
quasi infinite.
Un futuro del motorsport sempre più
gestito dai petroldollari? Se sta succeden-
do al calcio, non si tratta poi di una ipotesi
inverosimile.