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15 Mar [12:36]

Juan Pablo Montoya

Stefano Semeraro

«Ti manca la F.1?». «No!». Juan Pablo Montoya è sempre lui. Diretto, preciso, le risposte tagliate con l'accetta, il sorriso sgherro, un po' bullesco. Seduto nel paddock di St.Petersburg appena dopo le prime libere, mentre i fan scattano foto a mitraglia sui meccanici della Penske al lavoro, ha i capelli appena un po' ingrigiti e qualche chiletto in più, ma la stessa grinta di quando a inizio millennio arrivò in F.1 per spaccare il mondo. E non ci riuscì. «Non ho rimpianti - giura - perché in F.1, oggi come allora, vince chi ha la macchina più veloce, punto. Io non ho mai avuto una macchina dominante come la Ferrari di quei tempi, ma ho lottato per il titolo, e sono fiero di quello che ho fatto».

Nel 2015 nella IndyCar è arrivato vicino al titolo, ma ha vinto alla fine di una gara da cineteca («per tutte le ultime 15 miglia siamo rimasti in piedi a saltare», ricorda Eddie Cheever, oggi commentatore per la Espn) la sua seconda 500 Miglia. «Qui funziona un po' così, vinci a Indianapolis e tutti si ricordano di te», butta lì. «Ma va bene così. Quest'anno ci riproveremo, ogni stagione è dura, vedremo di fare il possibile».

Correre negli USA gli piace: «Credo che la IndyCar sia al suo massimo. In tv va bene, piace al pubblico, le gare sono combattutissime. La F.1 di oggi è lenta nelle curve, non ha molto carico aerodinamico, le Dallara di oggi invece sembrano le F.1 di un tempo, belle cattive, e con gli aero-kit sono molto migliorate. A Phoenix in curva per lunghi tratti abbiamo accelerazioni da 5G: mica male, no? Poi qui tutti possono vincere, in F.1 no». Troppo noioso, il Circus di oggi, per colpa dello strapotere Mercedes? «Perché, quando vinceva sempre Schumacher non lo era? E quando dominava la McLaren? Siamo seri, è sempre stato così, non facciamoci... (segue gesto eloquente, ndr...).

"La differenza fra Hamilton e Rosberg è che lo stile di guida di Lewis si adatta meglio al tipo di monoposto, semplice. Poi c'è troppa politica. Da piccolo il mio sogno era correre lì, ma quando ci sono arrivato e ho visto come funzionavano le cose, il mio sogno è stato distrutto. Anche qui c'è un po' di politica, ma nel campionato, non fra i team, è una cosa più sana».

Per il nuovo corso di Maranello ha parole agrodolci. «Vettel? Mi piace molto, l'ho conosciuto giovanissimo, era già quello che si sbatteva più di tutti. Secondo me è un pilota più completo di Hamilton, ma vincere il Mondiale non dipende da lui: se la Ferrari gli darà una macchina vincente, ce la farà, altrimenti no. È sempre la solita storia». In IndyCar non è la stessa cosa, campione? «L'Indy è più complicata, ci sono più componenti, la strategia conta di più, devi gestirti i “push-to-pass”, ci sono tanti tipi di circuiti molto diversi fra loro, per questo si adatta bene piloti maturi. In F.1 hanno l'ossessione della gioventù, onestamente non la capisco. Detto che qui se arriva uno giovane che ti sta davanti, sei out, noi piloti anziani commettiamo meno errori, corriamo con più intelligenza e vinciamo di più».

Anche sulla sua vecchia scuderia, la McLaren, Montoya ha le idee ben chiare. «Hanno sottovalutato la faccenda del motore. Perché andare a cercare la Honda quando avevano già i Mercedes? A lungo termine è la scelta giusta, ma se volevano vincere subito hanno sbagliato». Con Penske si trova bene, al futuro ci penserà. «Forse un giorno correrò a Le Mans, o forse no, vedremo. Se ho ricevuto delle offerte per tornare in F.1? Certo, appena dopo che me ne ne ero andato. Da varie scuderie. Ma non vi dico quali, non è interessante. Poi adesso si è fatto tardi, e devo andare». Ciao, fenomeno.