19
si pretende di rendere ogni mossa
prevedibile, pianificabile, incanala-
ta in un rigido “protocollo”. In que-
sto modo però, è quasi impossibile
non imbattersi in paradossi, e si
rischia di scivolare in una concezio-
ne “moviolesca” delle gare (“ha cam-
biato una volta e mezzo traiettoria,
va punito”, “no, però c’erano i tot
centimetri previsti fra la sua gomma
e il cordolo”) umiliante per chi cor-
re e noiosissima per chi assiste. Se
vogliamo (pretendiamo di) essere
sicuri che chi è più veloce vinca la
gara, okay, limitiamoci alle qualifi-
che. Altrimenti rassegniamoci ad
accettare anche l’imprevisto, il pez-
zo di bravura, la mossa un po’ “spor-
ca” ma geniale. Certo, allo “sporco”
ci deve essere un limite: la famosa
ruotata di Schumi a Villeneuve fu
una scorrettezza bella e buona, non
un pezzo di bravura. Certo, non è
facile mettersi d’accordo su quale
debba essere il confine fra lecito ed
illecito. Ma plastificare i sorpassi,
sospettiamo, è un rimedio peggiore
del buco che vuole coprire.
È PERDUTO?