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FORMULA 1
PATRICK HEAD
Stefano Semeraro
Patrick Head è uno di quei volti che sei
abituato a vedere in F.1. Che fanno parte
del paesaggio, che paiono inamovibili. Per
questo l’idea che quel suo grugno duro,
quell’espressione da bulldozer con QI 180
sia definitivamente uscita dal radar dal
paddock fa impressione. Sensazione
irreale, ma bisognerà rassegnarsi, perché
Head ha veramente deciso di staccare la
spina con quella che è stata la sua grande
passione per oltre quarant’anni. Primi
telai alla Lola nel ‘70 – e prima amicizia
con John Barnard – poi il sodalizio di fer-
ro con Frank Williams, con cui dopo la
parentesi della Wolf nel 1977 aveva fonda-
to la Wiliams Grand Prix Engineering.
Nella sua lunghissima carriera, Head ha
svezzato tecnici come Neil Oatley, Ross
Brawn, Frank Dernie, Egbahl Hamidy,
Geoff Willis, Enrique Scalabroni, ed è sta-
to lui a fare la telefonata che traslocò in
Williams un giovane genietto che aveva
messo in piedi qualcosa di disordinata-
mente magico alla Lyeton House. Un
genietto che si chiamava Adrian Newey.
«Non conoscevo veramente Adrian – ha
ricordato qualche giorno fa in una inter-
vista – il suo lavoro nella IndyCar, ma
sapevo che se ne intendeva molto di set-
tori dove i nostri tecnici brancolavano nel
buio. Una settimana con noi e capii che
era un tipo astuto, che sapeva molto di
aerodinamica nel campo delle macchine
da corsa. Così gli dissi: perché non diven-
ti tu capo-ingegnere? Io mi occuperò di
cambio, freni e tutti i vari sistemi, tu del
progetto e dell’aerodinamica. Lui mi
rispose: ok, però il cambio che stai proget-