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GP BRASILE
RED BULL
Stefano Semeraro
«
Al via ero morto, e sono resuscitato». Ha
vinto Vettel, viva Vettel. Il Lazzaro uscito
dall’inferno liquido di San Paolo, il
fuoriclasse bambino che a soli 25 anni si è
preso il terzo mondiale, battendo Alonso,
stracciando il record di Senna (Ayrton, non
Bruno), che per arrivare al tris ci aveva
messo sei anni di più. Tre titoli consecutivi
in F.1 prima di lui erano riusciti a vincerli
solo Fangio e Schumacher, e oggi
almanaccare cosa sarebbe successo nelle
ultime tre stagioni a macchine invertite –
Alonso sull’astronave Red Bull di Newey,
Vettel sulla Rossa – è semplice accademia.
Per fare un vero confronto bisognerà
aspettare (sempre che accada) di vedere
Nando su una Ferrari veramente
competitiva, ma sminuire l’impresa del
giovane Seb sarebbe ingiusto oltre che poco
credibile. Che il tedeschino abbia una faccia
da bambino è innegabile, che anche la testa
sia da kindergarten – come sostiene quel
vecchio Pierino di Jacques Villeneuve – è
una boutade che non convince. Certo,
quando si trova in difficoltà Sebastian
frigna – ma lo fanno tutti (o quasi), in
maniera diversa, da Schumacher ad Alonso,
da Hamilton a Raikkonen. Ma se ci fosse
mai stato bisogno di una conferma delle sue
qualità straordinarie la gara di San Paolo
l’ha fornita con abbondanza di esempi.
Provateci voi, dopo aver passato una
settimana a tagliare la tensione con il
coltello, a ritrovarvi dopo un giro boicottato
da Senna (Bruno, non Ayrton) e ultimo, con
il sogno mondiale che pare frantumato sulla
pista proprio come quel pezzo di carrozzeria
che il botto ti ha asportato. Provateci, a
rimontare, e di nuovo a trovarvi
danneggiati da un cambio gomme due volte
sbagliato (prima le medie al posto delle
intermedie, poi le intermedie che non si
trovano) e continuare come niente fosse.
Senza radio, senza nemmeno sapere dove
stava Alonso, mentre Hulkenberg faceva
strike con la sospensione anteriore di
Hamilton riaprendo per l’ennesima volta la
corsa per il titolo.
«
Mi congratulo con Vettel, ha dimostrato di
avere nervi d’acciaio». Non l’ha detto Herr
Mateschitz, e neppure Helmut Marko, ma
addirittura la cancelliera Merkel. Una che
viene dall’ex-Germania est, una dura,
abituata a prendere a sportellate a tutti
colleghi nei vertici europei. «E’ stata la gara
pià dura della mia carriera, l’ho detto anche
ai ragazzi dei box, ringraziandoli tutti», ha
ammesso alla fine il campeon, abbracciato
da Schumacher, ignorato da Alonso. «Tre
titoli come Michael, non riesco a crederci»,
ha aggiunto scendendo da “Abbey”, la sua
ennesima Red Bull vincente. «Dopo
l’incidente la macchina non riusciva ad
esprimere tutto il suo potenziale, uno
scarico si era crepato e non poteva essere
riparato. E ho dovuto anche fare anche una
sosta inutile, che mi è costata 22 secondi».
Nervi d’acciaio, appunto. Famoso per le sue
doti da front runner, da uomo in fuga
capace di martellare tempi inarrivabili per
“
“
Mi si è fermato il cuore quattro volte”
”
DIETER MATESCHITZ