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C'erano altre richieste specifiche
da parte di Dan Andersen e della sua
organizzazione?
«Ci è stato chiesto anche di assicurare una
presenza in pista, come del resto all'estero
avviene già per la F.4 in Italia e in Germania.
Quindi dovremo viaggiare molto, e abbiamo
trovato Carl Haas come partner che curerà
questo aspetto negli Usa. Come è nostra
caratteristica, credo molto apprezzata,
abbiamo offerto massima disponibilità».
Che monoposto saranno?
«Il concetto di base è lo stesso della Formula 4:
sicurezza, design moderno, costi contenuti.
Poi ci saranno le ovvie differenziazioni, la
monoposto studiata per la USF 2000 ad
esempio avrà un cofano basso, anche perché
sfrutterà un'aspirazione laterale tipo F.3, la Pro
Mazda invece il cofano alto. Il motore sarà il
Mazda Duratech: il fatto che sia un propulsore
già utilizzato da loro ci ha agevolato».
Cosa significa questo progetto per Tatuus?
«E' una sfida importante, che stiamo
affrontando al massimo delle nostre
possibilità, perché significa entrare in un
mercato importante. Ed è confortante pensare
che Tatuus è presente dalla Nuova Zelanda,
con Toyota, alla Cina, dall'Europa ‐ con la
Germania, l'Italia e prossimamente anche
l'Inghilterra, grazie a Palmer, agli Stati Uniti.
Significa che siamo conosciuti e che in fondo
sappiamo muoverci bene anche molto
lontano da casa. Questa avventura con
la Mazda Road to Indy arriva ovviamente in
scia la grande lavoro svolto da Dallara in tutti
questi anni. Le monoposto di successo, negli
Stati Uniti come in tutto il mondo, ormai sono
soprattutto costruite da aziende italiane e
questo non può che inorgoglirci».
Quale crede sia stata la chiave per
convincere gli organizzatori americani
della bontà della vostra proposta?
«A nostro favore ha giocato anche ciò che
siamo riusciti a realizzare in passato. La nostra
politica è di fornire sempre risposte molto
trasparenti e di dare continuità al nostro
impegno. Lo dimostra ad esempio ciò che è
accaduto in Nuova Zelanda, dove la Toyota
ha deciso di chiedere di nuovo a Tatuus
di progettare la macchina nuova.
Dopo dieci anni, un periodo molto lungo,
sarebbe stato più che legittimo voler cambiare,
invece ci hanno dato fiducia. La chiave però è
stato il successo della Formula 4 lo scorso
anno in Italia. Se fosse partita in maniera
traballante, fra mille problemi, se avessimo
sbagliato macchina, oggi non avremmo tanti
campionati sparsi in Europa».
Con il titolare della Dan Andersen il
legame è antico. Come è nato?
«Con Dan Andersen il rapporto risale al '97‐'98
quando corremmo nella Formula Ford
negli Usa. Una storia da film: partimmo senza
neanche sapere dove dovevamo arrivare,
veramente all'avventura. Ma le cose andarono
molto bene e il rapporto è rimasto, e allora
rimasi sorpreso dall'efficienza della sua
struttura, dal fatto che ci aiutarono sempre.
Onestamente però non pensavo saremmo
tornati a collaborare con lui. Dall'America
ce ne eravamo andati quando per Tatuus
era iniziato l'impegno con Renault:
con il senno potrei dire che probabilmente
saremmo riusciti a gestire entrambe le realtà,
ma allora ci era sembrato difficile come scalare
l'Everest. Decidemmo di concentrare tutte le
nostre risorse qui, perché si trattava di una
chance molto importante. Il fatto che Dan ci
abbia chiamato per rilanciare le sue categorie è
uno stimolo a fare ancora di più. Il nostro
impegno non può essere che quello di
restituire con gli interessi la fiducia che ci è
stata data».