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Registrazione al tribunale Civile di Bologna
con il numero 4/06 del 30/04/2003
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18 maggio 1942 n.1369
L’editoriale
IL DOLORE
E IL BUONSENSO
La morte di Andrea Antonelli a Mosca ha riaperto ferite dolorose
e rilanciato i soliti discorsi che fioriscono lugubri dopo ogni trage-
dia. Le corse sono pericolose, i piloti sono folli da fermare, gli orga-
nizzatori cinici amministratori dei rischi altrui.
Alla morte non ci si abitua, va da sé, e questo è un bene perché
serve da stimolo a migliorare il più possibile le condizioni di sicu-
rezza, specie nelle gare meno esposte ai riflettori, meno pubbliciz-
zate dai media. Dell’ipocrisia invece un po’, anzi tanto, ci si stanca.
Se dovessimo vietare tutte le attività pericolose dell’uomo, anche
restando nell’ambito dello sport, finiremmo per proibire molto se
non tutto: l’alpinismoo le traversateoceanichedei velisti,maanche
laCoppaAmerica (anche lì è scappatounmortoduranteuna regata
di allenamento), il ciclismo – ricordate Casartelli? Avete visto le
discese dell’ultimo Tour? -, il football americano dove le conse-
guenze dei traumi cranici sono portatrici di danni permanenti, e
naturalmente la boxe e tutte le arti marziali, o magari la pallavolo,
dove il caso-Bovolenta dimostra che i controlli sulla salute (o l’ap-
plicazione delle indicazioni mediche) non sono spesso rigorosi
come dovrebbero. Resta la questione che riguarda la pioggia, la
necessità o no di annullare le gare quando visibilità e tenuta di stra-
da diventano problematiche. Melandri ha guidato il fronte della
protesta, sostenendo che a Mosca non si sarebbe dovuto correre.
Ecco, su questo si può, anzi si deve discutere. Per capire se ci sono
state leggerezze, miopie, pressapochismi omagari una buona dose
di cinismo. Ben sapendo però che stabilire una linea netta, un con-
fine assolutamente razionale fra ciò che si può o non si può fare in
questi casi è difficile, se non impossibile. E’ possibilissimo invece
affidarsi al buonsenso, e stabilire per convenzione dove passa la
dogana della paura. Affidare a un comitato “di crisi”, nel quale sia-
no rappresentati sia i piloti sia gli organizzatori sia gli enti istitu-
zionali, la decisione ultima. E poi rispettarla, sgombrando la pista
da dubbi o recriminazioni: o almeno da quelle inutili e speciose,
che servonopiùad eccitare il lettore di passaggio con lapornografia
del dolore, che a evitare lutti futuri. Forse la pioggia ha causato la
caduta di Antonelli, ancora non lo sappiamo; forse si è trattato di
un guasto meccanico e allora l’esito probabilmente sarebbe stato
lo stesso anche se si fosse corso in pieno sole, perché evitare chi ti
cade improvvisamente davanti alle ruote mentre acceleri a 250
all’ora non è questione di pioggia o di bagnato, ma di fortuna o di
sfortuna. Di sicuro resta che Antonelli non è morto per caso, ma
seguendo la sua passione, correndo rischi che conosceva.
Chiediamoci, piuttosto, come sarebbe un mondo senza passioni.