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FORMULA 1
GP BRASILE
Stefano Semeraro
Ha finito con il vento in faccia. Senza casco, senza più niente
da perdere o da guadagnare. Senza più conti da fare con quel
mondo veloce,magico, seducente e ingannatore che si chiama
F.1. Il giro finale della sua lunga carriera nel Circus, Mark
Webber l’ha voluto percorrere la libertà di essere ormai un ex,
fregandosene delle multe, guardando un futuro che dal 2014
per lui sarà comunque veloce, ma nascosto dietro il vetro di
un prototipo Porsche nel Mondiale Endurance. «Be’, togliere
l’Hans non è facile – ha scherzato dopo l’arrivo – così ci ho
messo quasi mezzo giro a liberarmi. Alla fine ce l’ho fatta e,
ragazzi, che rumore si sente lì fuori senzacasco…».Manevale-
va la pena, di togliersi lamaschera. Per rendere evidente quel-
lo che Webber, driver di classe e uomo sincero, a tratti rude
ma mai finto, ha sempre fatto da quando si è
affacciato nelle corse: guardare avversari e peri-
coli negli occhi. «Non è sempre facile, in questo
sport,mostrare la persona che sei al di là di quel-
lo che combini alla guida», ha spiegato. «Hai
sempre un casco in faccia, e per questo almeno
una volta è stato bello toglierselo. Anche se nel-
l’ultima curva mi sono trovato un po’ stretto, e
ho visto i commissari preoccupati…».
Australiano e gentiluomo, Webber. Uno dei cin-
que “wallabies” approdati in F.1 nella storia. Pri-
ma di lui c’erano riusciti Jack Brabham, Tim
Schenken, Alan Jones; dopo di lui Daniel Ric-
ciardo. Gli rimarrà sempre il rimpianto di non
aver vinto l’iride come Brabham (addirittura tre
volte) e Jones (una), non quello di non averci
provato con tutte le sue forze. Non è cresciuto
ricco, Webber, il suo biglietto per l’Europa delle
corse se l’è sudato, dopo l’inizio da rugbista. La
Formula Ford australiana, il sodalizio con Paul
Stoddard, poi il salto in F.3000 e nel GT, l’espe-
rienza con la Mercedes e il terribile volo a Le
Mans. Una lunga gavetta che l’ha portato
all’esordio in F.1 come tester della Arrows nel
2000, poi al passaggio inMinardi, all’esperienza
alla Jaguar e alla Williams, quindi all’approdo
allaRedBull doveavrebbeconosciutosoddisfazioni,maanche
la sua Nemesi. Nove Gran Premi vinti, 13 pole, 19 giri veloci,
trevolte terzonelMondialepiloti.Unagrande carriera, distur-
bata anche da una frattura aduna gamba inbici che lo costrin-
se a correre per un anno con le ossa piene di viti d’acciaio.
Veramente buffo che l’unico incidente serio mai avuto sia
avvenuto sulle due ruote… Ma anche una carriera disturbata
dall’ombra di Vettel. Dalla fatica di essere all’altezza del baby
fenomeno, di doversi difendere dalle “cure” riservate al benia-
mino del team. Di dover lottare, probabilmente, conunamac-
china che raramente è sembrataproprio la stessadel suo com-
pagno di squadra.
Anche nell’ultimo show si è dimostrato uomo vero, Mark, un
gentleman da corsa. «Sono contento di dividere il podio con
Sebastian e Alonso, i due più grandi piloti di questa genera-
zione», ha detto a San Paolo. «E’ stata una grande avventura,
e mi hanno commosso le manifestazioni d’affetto dei fan in
questi giorni. Ma se ora tirassi fuori il fazzoletto significhereb-
be che ho sbagliato ad andarmene, mentre io non vedo l’ora
di correre con la Porsche». Alla vigilia, l’Equipe gli aveva chie-
sto di ripercorrere la sua carriera, e Mark aveva accettato di
buon grado, svariando dal “podio rubato” in Australia con la
Minardi («mi sentivo in colpa, ero arrivato quinto emi dissero
di salirci per salutare il pubblico, ma alla fine è stato meglio
così perché dopo in Australia non sono più riuscito a conqui-
stare un podio»), al menage con il team faentino: «era una
vita precaria, ma simpatica. Non avevamo soldi, il motore
AsiaTech arrivava solo a 16.400 giri e la vettura era troppo
corta perme tanto che finivo le gare con le ginocchia tutte ros-
se… ma è stata una grande scuola».
Capitolo rimpianti: quelli di Mark riguardano il mancato pas-
saggioallaMcLaren: «Dopo l’esordio inMinardi e l’esperienza
in Jaguar, un anno a Magny-Cours Ron Dennis mi disse che
era interessato ad avermi,ma che purtroppodietrodime c’era
Briatore. La scelta diventò allora tra Williams e Renault, ma
di nuovo Flavio aveva già piazzato Alonso alla Renault. Così
andai alla Williams, e fu un errore. Ma non avevo la palla di
cristallo». Sul fattodi nonavermai vinto ilMondialeCrocodile
Mark ha opinioni da filosofo: «Potrei lamentarmi di non aver
mai avuto l’occasione giusta, ma che differenza farebbe? In
fondo ci sono piloti come Alonso e Raikkonen che lo sono
diventati anche senza aver avuto le condizioni più favorevoli.
La fortuna ce la costruiamo con le nostre mani, no? Nel 2010
il titolo mi è scappato di un soffio, ma ho sbagliato due gare,
a Valencia e in Corea, dove ho fatto l’unico testacoda della sta-
gione, test compresi. Se avessi finito tutte le gare avrei vinto,
ma sono stato felice di essere comunque a livello dei miglio-
ri».
Da driver romantico, non addomesticato, avrebbe amato cor-
rere negli anni ’80, più liberi e insieme più rigorosi, anche per-
ché i nuovi circuiti non gli piacciono tanto. «E’ vero, puoi per-
metterti di correre più rischi, ma io non sono di quella scuola.
Quando ero giovane non avevamo tanti soldi, prima della gara
mio padre mi diceva sempre: ‘mi raccomando, non rovinare
la macchina’, e io sono fiero di non averlo fatto in circuiti dif-
ficili come Bathurst, Adelaide o Surfers Paradise. Oggi uno
come Maldonado non ha gli stessi problemi…».
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