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FORMULA 1
LUCA DI MONTEZEMOLO
Stefano Semeraro
La Rossa per lui non mai stata un'amante,
ma l'amore che conta. «Insieme alla fami-
glia – ha detto con gli occhi insolitamente
lucidi alla conferenza stampa di addio – la
Ferrari è stata la cosa più importante della
mia vita». La stella polare di una carriera
passata a navigare fra successi e flop, pol-
trone comode e scomode, polemiche e delu-
sioni, anche pesanti, schivate o rilanciate
con il gesto leggero da ragazzino con cui da
sempre si riavvia i capelli. E' stata la passio-
ne che l'ha ancorato ad un destino, tra i tan-
ti possibili.
AMaranello, dopo il liceo classico dai gesui-
ti, la laurea in legge alla Sapienza di Roma,
il master alla Columbia University e una
carriera semiclandestina da pilota di rally –
nome d'arte “Nerone”, per evitare le scomu-
niche della famiglia -, Luca di Montezemo-
lo c'era arrivato dalla porta principale, a soli
26 anni, nel '73. Chiamato dal Drake in per-
sona, Enzo Ferrari, che alla radio l'aveva
sentito perorare la causa di quello che oggi
si chiama motorsport. Era agosto, faceva
caldo, al telefono c'era il grande vecchio che
gli diceva: «non vinciamo da troppo tempo,
venga da noi». Fu la fine della carriera di
avvocato, l'inizio di quella del manager più
vincente della storia della Formula 1: 14
Mondiali, di cui 8 costruttori, 118 vittorie
nei Gp. Prima assistente del Patriarca, poi
team manager, alla Scuderia richiamò Clay
Regazzoni e a rimorchio arrivò quel bel
tipetto di Nicky Lauda, l'austriaco fatale. La
Ferrari non vinceva un mondiale dal 1964,
con Surtees. Lauda fece bang nel '75, il
secondo anno dell'era Montezemolo.
Le foto sono lì: i dentini feroci di Lauda, lo
sguardo ossuto di Montezemolo, gli occhia-
li scuri del Drake. «Rivedo spesso con
nostalgia un vecchio filmato che ogni tanto
mostrano in tv – ha detto qualche anno fa
– è il 7 settembre del 1975 a Monza, Lauda
arrivando terzo vince matematicamente il
campionato del mondo: la macchina era
ancora alla Parabolica, io già in pista che
festeggio. Insieme ai giorni in cui sono nati
i miei figli, è stato il giorno più bello della
mia vita». Il bis, dopo il rogo del Nurbur-
gring, arriva nel 1977, il trentenne Monte-
zemolo è pronto per altri incarichi. Per la
Fiat, dove in anni turbolenti cura le relazio-
ni pubbliche con il suo stile svelto, cordiale,
solo apparentemente fatuo, una punta di
spada nascosta dal velluto, passando dalle
camicie di jeans del paddock al blazerino
con l'immancabile pochette bianca. «Lo
vedi quando entra in fabbrica – dice di lui
Carlo Rossella - parla con l’ultimo operaio e
lo chiama per nome e cognome. Ha una
capacità di ricordare facce, nomi, ruoli che
ho visto solo in un’altro: Berlusconi».
Con Torino c'è amore e distanza, con i fra-
telli Agnelli un affetto vero, saldo. Il primo
incontro con Gianni era avvenuto al risto-
rante, e aveva dovuto pagare il ragazzo
Luca, visto che Agnelli girava sempre senza
soldi. Il padrone della Fiat si era fatto sedur-
re in fretta dai doni del pupillo. «Conosco
Luca da quand’era unbambino», ha raccon-
tato una volta Maria Sole Agnelli. «È un
uomo intelligente, colto, preparato, sinteti-
co. Poi, ha un’ultima grandissima qualità: è
anche fortunato». Agnelli lo adotta, lo tra-
sporta prima alla Juventus poi alla Carolco,
ramo cinema,ma sonodue passi falsi. L'esa-
me di riparazione si chiama Ferrari, il suo
vecchio team che dopo l'ultimo urrah con
Jody Sheckter nel 1979 non ne ha più azzec-
cata una. Montezemolo rientra da presiden-
te a Maranello nel '91, e lì matura il suo
talento di accordatore di uomini, di organiz-
zatore di sogni. Convoca Jean Todt, Ross
Brawn, Rory Byrne, poi Michael Schuma-
cher, odiatissimo dai tifosi per i suoi trionfi
da ganassa alla Benetton. Un dream team
come non se ne sono più visti nel Circus,
cementato dal decisionismo cromato del
capo. «Ho sempre avuto passione per il
marketing e la comunicazione –dice –Giro,
osservo, e quando capisco qualcosa, la
applico». Il progetto all'inizio stenta ad
ingranare - e l'Avvocato mugugna - ma
quando arriva la macchina giusta è il trion-
fo perpetuo. «Con Schumacher abbiamo
vissuto anni difficilissimi, come nel ’96», ha
ricordato ieri. «Quante critiche che arriva-
rono da Torino. Poi Michael vinse a Monza
e Spa e tutto cambiò. Ho ancora nelle orec-
chie la telefonata in lacrime dell’avvocato
Agnelli quando Schumacher nel 2000 vin-
se il mondiale dopo 23 anni in Giappone».
La stagione dorata, dopo i cinque successi
del mago di Kerpen, si prolunga fino al
2007, al Mondiale vinto con Raikkonen.
«Sette titoli costruttori e sei piloti», sottoli-
neò all'epoca. «Negli ultimi 10 anni la Fer-
rari ha vinto più che nei precedenti 50».
Anni in cui Montezemolo – o Montezuma,
o Libero e Bello, o Monteprezzemolo, come
lo chiama chi non ama il suo attivismo mer-
curiale che sfiora l'ubiquità – ha rilanciato
la Ferrari anche dal punto di vista commer-
ciale, facendo lievitare fatturato (2,3 miliar-
di nel 2013) e presenza sui mercati (più di
60), trasformando la Rossa nel marchio più
conosciuto al mondo. Alla fine ha pagato la
scommessa su una Rossa dal management
italiano, l'attaccamento adunmodello spor-
tivo splendido ma un po' passato di moda.
Peccati d'amore, che col tempo gli amanti
della Rossa sapranno perdonare.
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