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Quarant’anni fa un aereo guidato dal fuoriclasse inglese Hill si schiantava
nei pressi di Londra. Con lui moriva anche il progetto di un nuovo team,
la GH Embassy Racing. I veri motivi dell’incidente sono ancora avvolti nella nebbia
Carlo Baffi
Sono le 18.47 del 29 novembre 1975, quando un bimotore Piper PA
23-250 Turbo Aztec decolla dall’aeroporto di Marsiglia. A bordo vi
sono sei membri della scuderia di F.1 GH Embassy Racing. Sono il
direttore sportivo Terry Brimble, il progettista Andy Smallman, i
meccanici Terry Richards e Tony Halcoock. Vi sono anche i piloti
Tony Brise ed il grande GrahamHill: il due volte iridato inglese, fon-
datore della scuderia e proprietario del velivolo di cui è ai comandi.
Il gruppo è reduce da una sessione di test privati sul circuito fran-
cese di Le Castellet e sta facendo ritorno a Londra. Il volo prosegue
tranquillamente e verso 21.45, Hill, che prende contatto con la torre
di controllo londinese. A breve avrà inizio la manovra d’atterraggio
previsto sulla pista dell’aerodromo Elstree, situato a nord-ovest
della capitale del Regno Unito.
Destinazione
Londra
Secondo il servizio meteorologico, il vento è calmo e la visibilità è
stimata intorno ai 2 km, ma da Elstree giungono notizie che l’area
è avvolta da una fitta coltre di nebbia, che sta riducendo progres-
sivamente la visibilità. Una complicazione che induce il pilota dell’ae-
reo ad un avvicinamento strumentale. A 4 miglia nautiche dalla
destinazione, Hill si mette nuovamente in contatto radio per for-
nire la sua posizione e dal controllo di Elstree, comunicano che la vi-
sibilità non supera i 200 metri. Durante la discesa, si susseguono i
contatti radio, al fine di semplificare l’azione del pilota, che procede
“a vista”. Alle 22.27, il controllore di volo riceve un nuovo messag-
gio con cui Hill, da le ultime coordinate:” 45 Yankee finals”. Parole
utilizzate per indicare la sigla di quel volo: N6645Y. Ancora 10 mi-
nuti di viaggio e poi, ognuno l’aereo sarà giunto a destinazione. Ma
all’improvviso la conversazione si tronca.
Un lampo
nella nebbia
La voce del pilota fa ancora in tempo a dire:” 45…”. Poi tutto tace.
Un problema alla radio? Forse, ma quando il velivolo scompare dal
radar, subentra la paura. Scattano immediatamente le ricerche e
dopo circa un quarto d’ora, ecco arrivare una primo rapporto della
polizia, che parla di un possibile incidente aereo. Ipotesi, che pur-
troppo viene confermata verso le 23. L’aereo di GrahamHill, è pre-
cipitato sul vicino campo da golf di Arkley. Prendono corpo anche
le prime ipotesi circa la dinamica degli eventi. Durante l’atterraggio,
il velivolo avrebbe urtato le cime degli alberi di un bosco ed una
volta schiantatosi a terra avrebbe preso fuoco, andando completa-
mente distrutto. Tesi confermate anche da alcuni testimoni oculari
che trovandosi a Barnet (un piccolo centro nelle vicinanze), diranno
di aver avvertito il rumore di un aereo in avvicinamento ed un lampo
nella nebbia, proprio in direzione di Arkley. Analogo pure il rac-
conto del tesoriere del golf club, che trovandosi nella club-house
con altri soci, racconterà di aver udito uno strano rumore all’esterno,
tale da indurre il gruppo ad uscire per verificare cosa stesse acca-
dendo. Il sopraggiungere dei poliziotti, informerà i presenti della
disgrazia, in cui nessuno dei sei occupanti del velivolo ha avuto
scampo. Anzi, complici le fiamme, l’identificazione dei corpi carbo-
nizzati sarà possibile soltanto grazie al ritrovamento della patente
di guida di Hill ed il controllo della proprietà dell’aeromobile.
La fine
di un sogno
Una grave tragedia per il motorsport, che in un solo istante can-
cella non solo un fuoriclasse che a 46 anni è già considerato un mito,
ma pure il 23enne Brise, l’allievo, ritenuto da molti un giovane di
talento. E poi viene distrutta un’intera compagine, entrata nel Cir-
cus da appena due stagioni. Una piccola realtà, in cui Hill intendeva
realizzare le proprie ambizioni future di costruttore, dopo aver trion-
fato sui circuiti di tutto il mondo: dalla “24 Ore di Le Mans”, alla
“500 Miglia di Indianapolis. Per arrivare al nobile palcoscenico del
Gran Premio di Monte Carlo, con cinque trionfi. Solo il grande Ayr-
ton Senna, anni dopo, farà meglio di lui, salendo sei volte sul gra-
dino più alto del podio.
Ipotesi,
non certezze
Alla tragedia di Arkley, seguiranno le consuete indagini, destinate
però a lasciare irrisolti alcuni interrogativi. Si apprenderà che la torre
di controllo chiese se fosse possibile fare rotta sull’aeroporto di
Luton, situato a 15 miglia più a nord, per evitare la nebbia. Ma pare
che Hill volesse fare ritorno a casa quanto prima e che gli altri pas-
seggeri avessero le auto parcheggiate proprio ad Elstree. Da qui la
decisione di atterrare ugualmente. “Non ero affatto preoccupata
per il tempo – dichiarerà Bette Hill, la moglie del campione – Gra-
ham conosceva bene Elstree, il suo aereo faceva sempre scalo li.”
Eppure qualcosa andò storto. Secondo il racconto di Peter Wood,
che si trovava al controllo aereo dell’aerodromo, il bimotore perse
quota troppo velocemente. Segno forse che probabili formazioni di
ghiaccio possano aver appesantito le ali dell’Aztec? Altra teoria che
si farà largo è quella dell’errore umano. Forse Hill non aveva l’espe-
rienza sufficiente per scendere in condizioni di visibilità così ridotte?
Eppure l’inglese aveva alle spalle parecchie ore di volo. Inoltre, è
vero che quella sera vennero accesi dei fuochi sul campo da golf,
che il pilota avrebbe confuso nella nebbia con le luci della pista d’at-
terraggio? Difficile trovare una risposta, quasi impossibile.
I giochi
del destino
Di sicuro non èmancata la fatalità. Si pensi che Hill, cambiò all’ultimo
momento i suoi piani, decidendo di rientrare dal Paul Ricard un
giorno prima del previsto. E che dire del meccanico Alan Howell,
che cedette il proprio posto sul volo a Terry Richards ? Howell fece
ritorno a casa tranquillamente con il collega Malcom Allen a bordo
della bisarca del team. Quando si dice il destino.