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Stefano Semeraro
I Ricchi e i Poveri. Anzi: i Ricchi contro i
Poveri. Da qualche anno la lotta di classe si
è trasferita nel mondo dei supermiliardari,
quello della F.1, e ormai stiamo arrivando
alla resa dei conti. Perché è vero che anche i
ricchi piangono, almeno nel Circus, un posto
dove nemmeno essere straricchi basta a
sopravvivere (e Richard Branson e Tony Fer-
nandes ne daanno qualcosa). Alla vigilia di
Austin sembrava addirittura che sarebbe
scoppiata la rivoluzione, scatenata dall'as-
senza per manifesta insolvibilità di Cater-
ham e Marussia. I piccoli team, Force India,
Lotus e Sauber avevano minacciato il boicot-
taggio, e anche se alla fine non se ne è fatto
nulla – perché nessuno aveva realmente
interesse che qualcosa succedesse... - è chia-
ro che la situazione ormai è critica, con il
paddock è violentemente, acidamente spac-
cato fra top-team e scuderia in sofferenza.
Tanto che persino Bernie Ecclestone lo ha
ammesso. «In questi giorni sono stati distri-
buiti troppi soldi, e male, forse per colpa mia
– ha detto il Supremo – Io sono pronto a
ridurre le mie quote, se le squadre faranno
altrettanto, ma il problema è che nessuno lo
vuole fare. Qualcuno ipotizza un prestito, ma
questo risolverebbe il problema per qualche
mese, non più a lungo». Per poi concludere
con ruvido pragmatismo: «Il fatto è che sei
un impresario non puoi pagare i Rolling Sto-
nes come un complesso da strada. E i picco-
li team il nuovo accordo (quello che ha sosti-
tuito il Patto della Concordia, ndr) lo hanno
firmato, anche se ora lo contestano». I due
“Landini” della situazione, sulla sponda dei
Poveri, sono Sauber e Force India, in parti-
colare Monisha Kalterborn e Rob Fernley.
«Credo che siamo ormai ad un bivio – ha
dichiarato ad Autosport il team principal
della Force India – e non ha senso guardar-
si alle spalle, perché sappiamo tutti come sia-
mo arrivati a questo punto, sono due anni
che dura questa crisi. Il problema è l'oggi, e
a me sembra chiaro che fra CVC (il fondo
d'investimento che possiede la F.1, ndr) e i
primi 5 team che si sono arricchiti e poten-
ziati ci sia un piano sul futuro della F.1. Nel
2015 la F.1 non sarà più quella che conoscia-
mo, l'addio di Caterham e Marussia ha sca-
vato un solco. Ora si tratta di capire quanti
altri team se ne andranno dalla F.1 prima di
aver raggiunto il loro obiettivo. E mi chiedo:
qual è il loro obiettivo? Perché secondo me
neppure l'idea di avere tre macchine per
team può funzionare». Per Fernley la
responsabilità del crac imminente è della
CVC: «La Fia quest'anno ha provato a ridur-
re i costi, ma si è dimostrata impotente per-
ché è stata letteralmente sopraffatta dalla
CVC e dai primi 5 team. Nessuno ha tentato
di risolvere la situazione dei team che non ce
la facevano più, e ora tocca a noi fare qual-
cosa di serio tutti insieme». Già, ma cosa? Le
scuderie maggiori, quelle sostenute dai
costruttori e dai grandi sponsor, non sem-
brano avere davvero nessun interesse alla
sopravvivenza dei team indipendenti. E lo ha
ribadito anche Marco Mattiacci, il team
manager della Ferrari, quando ha dichiarato
che «gli introiti della F.1 vanno aumentati,
non divisi diversamente». La F.1 finirà come
la Liga spagnola di calcio, dove a dominare
sono i due colossi Real Madrid e Barcellona
e la vittoria di un club come l'Atletico rappre-
senta, più che un eccezione, una rarità?
«Credo che siamo oltre lo stadio della fru-
strazione – è sbottata a Austin la Kalterborn,
team principal della Sauber – ed è davvero
terribile che i responsabili di questo sport
abbiano permesso che si arrivasse a questo
punto. Ora è compito della Fia fare qualco-
sa, perché la F.1 dipende dalla Fia. Non cre-
do che questo sport possa basarsi a lungo sul-
l'interesse dei costruttori, perché già in pas-
sato i costruttori sono andati e venuti. E
quando se ne andranno di nuovo che prodot-
to resterà in mano alla Fia?». Domanda
seria, e inquietante. Per Mattiacci la soluzio-
ne è nell'ingresso di altri costruttori: «ci sono
molti altri grandi marchi che potrebbero
investire su una piattaforma fenomenale
come la F.1. E noi abbiamo bisogno di team
competitivi, non sto dicendo piccoli o medi,
ma team competitivi con una base finanzia-
ria solida». Ma è un argomento che non con-
vince la Kalterborn: «E' stato Marco stesso a
dire che ha iniziato a preoccuparsi di come
garantire un ritorno agli investimenti della
Ferrari: come può pensare di avere un ritor-
no economico, in una situazione come que-
sta? Che cosa risponderà se i suoi investito-
ri gli chiederanno quale è il ritorno a fronte
di uno spettacolo sportivo poco attraente,
con audience televisive sempre in calo?».
Forse che agli investitori interessa vedere la
Ferrari vincere: poco importa contro chi. Il
problema è che con l'ingresso di nuovi atto-
ri di peso – Audi, Toyota, Nissan, per ora
peraltro poco interessate alla prospettiva –
per le Rosse vincere diventerebbe ancora più
difficile.
Battute a parte, la F.1 si trova davvero a un
bivio cruciale. Una ricetta sicura non c'è, ma
la malattia è chiara: l'indecisione. Il model-
lo attuale non è sostenibile, occorre sceglie-
re se affidarsi alle grandi Case o trovare un
piano sostenibile anche per team indipen-
denti, piano che inevitabilmente passa per
quel tetto dei budget che già Max Mosley ten-
tò inutilmente di introdurre. E che Merce-
des, Ferrari, Red Bull, McLaren e Williams
vedono come il fumo negli occhi. L'unico
consiglio è quello che forniva il grande Yoghi
Berra, leggendario catcher degli Yankees, e
ineffabile pensatore: «quando nella vita ti
trovi davanti ad un bivio, imboccalo». Augu-
ri, Formula 1.