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DAI “KUBERNETES”
AD AYRTON SENNA,
L’ARTE DEL PILOTA
«Il pilota come abbiamo scritto nelle precedenti puntate sul “cuore delle corse” è
un artigiano un po’ particolare. Nei tempi antichi era il pilota della nave (oggi l’ae-
roplano), con la responsabilità diretta e totale di un equipaggio (che partecipava
alle manovre, non certo come i passeggeri di una nave da crociera da spiaggiare al
Giglio); il pilota doveva essere esperto delle manovre e pronto all’imprevisto. Il
pilota (in greco si dice “kubernetes”, da cui cibernetica e governo) era ed è la meta-
fora più ovvia di chi ha responsabilità di governo, dal Presidente del Consiglio al
più piccolo comune del mio caroMonferrato. Frequentissime e ovvie nei secoli pas-
sati erano le metafore dell’arte del pilota nel definire l’ambito, i rischi, le sfide del-
la politica, ne riporto qualcuna…
- Non è granché mostrarsi forte nella buona fortuna, quando la vita procede secon-
do il suo corso: il mare tranquillo e il vento favorevole non valgono a dimostrare
l’arte del pilota; deve avvenire qualche cosa di diverso perché l’animo sia provato.
Niente fa più dispetto alla fortuna dell’animo sereno del pilota.
- L'arte della battaglia sul ponte della nave e l'arte di manovrare la nave...
- La navigazione della nave è autosufficiente: è in grado di muoversi (costi infe-
riori ai ricavi) sfruttando le risorse esterne (vento) verso una meta (lo scopo)
- Un vento eccessivo e' pericoloso : occorre ridurre le vele, Un vento scarso non
muove la nave
- Remare troppo a lungo brucia le energie dell'uomo... occorre cercare il vento
La comunità dei cittadini, chiamala associazione, città o nazione o il mondo inte-
ro, dovrebbe assegnare solo ad un pilota / governatore esperto la guida di un vei-
colo complesso, soprattutto se i cittadini mettono in gioco i propri interessi, i pro-
pri soldi e i propri sogni. L’arte del pilota non è per dilettanti o per robot. Al pilo-
ta non si perdona di sbagliare e se vuole allenarsi non deve farlo con i soldi e i sogni
dell’equipaggio. Ecco per finire alcune frasi di Ayrton Senna sull’arte del pilota…
vedranno i lettori come applicarle in altri contesti, siamo tutti un po’ il pilota del-
la nostra vita…
- Con il potere della mente, la determinazione, l’istinto e l’esperienza si può vola-
re molto in alto
- Perdere una corsa non è un disonore. Il disonore è non correre per paura di per-
dere
- La macchina va dove vanno gli occhi. Il pilota che guarda la pista appena sente
scappare le ruote, riprenderà il controllo del veicolo, il pilota che guarda il muro
quando perde il controllo, andrà a sbattere contro il muro.
- Ciò che manifesti è davanti a te, ti attrae, ti guida….».
«“Sport” è una parola francese, da noi è rima-
sto il termine “diporto” della nautica. “Sport”
è un’attività ludica non dominata dalla pre-
stazione. Se losport èmercato, credocheque-
sto secolo vedrà la fine dello sport. Ma qual-
cosadentromi convince che ognunodi noi ha
un forte bisogno, fisico e mentale, di attività
ludiche non governate dall’interesse econo-
mico; per questo sono sicuro che lo sport tro-
verà sempre e comunque altre strade, fosse-
ro anche le corse inmonopattino per le disce-
se di San Francisco o una giornata con gli sci
di fondo nelle valli silenziose del Trentino.
Spero che il XXI secolo sia il ritorno o alme-
no l’approdoal semplice. La ricercadell’eccel-
lenza, la tecnologia dirompente, dell’innova-
zione rivoluzionaria ogni sei mesi, la riduzio-
ne dei costi che impoverisce i contenuti....
Tuttoquestocistanca.Lapolverizzazionedel-
le passioni provoca la banalizzazione del
nostro tempo libero. Se guardiamo alla sto-
ria dell’uomo, il valore di un essere umano
nonèpiù la sua ragione, nonèpiù il suo lavo-
ro, non è neppure più il suo consumare, sia-
mo arrivati al potere d’acquisto: cosa impor-
ta poi se quello che abbiamo acquistato lo
consumiamo o meno? Hai notato quanto
intasate di suppellettili e gadget siano le
nostre case rispetto a trent’anni fa? Prova a
vivere a casa dei tuoi genitori, in cui hai vis-
suto l’infanzia, anche solo per due/tre gior-
ni e la troverai incredibilmente vuota… Ma
non le ha svuotate nessuno! C’erano meno
oggetti, forse c’erano più libri, ed erano
comunque tutti quelli sufficienti per farci
sognare».
fatica di costruire questi robot. L’espressione
“cervelli inuna vasca” èunpreciso riferimen-
toadHilaryPutnam, unfilosofomodernoche
ipotizza un esperimento mentale per farci
capire l’assurdità di una tecnologia che non
riesce mai a rimuovere i nostri ancoraggi con
la realtà; da questo esperimento mentale è
stato tratta la trama del film “MATRIX”.
“Immaginaunessereumanochesiastatosot-
topostoaun'operazionedapartediunoscien-
ziato malvagio. Il cervello dell'uomo è stato
estratto dal corpo e collocato in un recipien-
te di sostanze nutritive che lo mantengono in
vita. Le terminazioni nervose sono state col-
legate a un computer, in grado di procurare
l'illusione che tutto sia perfettamente norma-
le. Sembra che ci siano persone, oggetti, cie-
lo, ecc...; ma di fatto, tutto ciò che quell'uomo
sta sperimentando è il risultato di impulsi
elettrici che viaggiano dal computer alle ter-
minazioni nervose. Il computer è così intelli-
gente che la vittima può persino pensare di
essere comodamente seduta mentre legge
queste parole sull'ipotesi divertente, ma del
tutto assurda, che vi sia uno scienziato mal-
vagio che rimuove i cervelli dal corpo e li col-
loca in una vasca piena di sostanze nutritive.”
(H. Putnam, 1981)
Ora immagina di collegare tanti “cervelli” e
farli interagire in una competizione in una
pistavirtuale, collegandopiùsimulatori incui
i piloti guidano: interagiranno e si appassio-
neranno perché il cervello è sede delle termi-
nazioni nervose, delle emozioni, delle passio-
ni…ma cosa manca?»
Ma, diciamo così, filosoficamente, è
giusto che l’uomo insegua la chimera
di una vita priva di qualsiasi rischio?
«… Il rischio! Esatto! Manca il rischio perso-
nale, la paura di non farcela e di perdere. Sen-
za rischio personale il Motorsport non sta in
piedi. Hai visto quante persone corrono nei
viali delle città o sugli argini? basta un paio di
scarpe e via. Tecnologia al minimo in tempo
di crisi, via le racchette ipertecnologiche, via
gli sci zeppi di sensori con memoria incorpo-
rata. O ti fermi con la tecnologia ad un livello
sostenibile o perdi il senso delle cose e del
divertimento. Ma… se cerchiamo solo la pre-
stazione e descriviamo l’uomo in termini di
tempi di risposta, stabilità, input e output,
allora è necessario che arriviamo a fare a
meno dell’uomo perché lamacchina è, prima
o poi, meglio dell’uomo in questi aspetti».
Daannimi frullaper la testaunarifles-
sione unpo’ apocalittica: il XX secolo è
stato il secolo dello sport. Il XXI sarà il
secolo che ucciderà lo sport. Almeno
come lo intendiamo oggi. Sei d’accor-
do?