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Dietro il successo di Vettel c'è tutta una squadra, e una

azienda. Nel nuovo progetto non manca lo zampino di uomini

del passato, legati alla gestone di Montezemolo, ma la sterzata

che ha cambiato obiettivi e orizzonti l'ha data Marchionne,

scegliendo di mettere al timone Allison e Arrivabene

Stefano Semeraro

Ha vinto la Ferrari – quella che va in pista, tutta,

da Vettel e James Allison fino all'ultimo dei mec-

canici. I “1300” citati e ringraziati a Sepang da

Maurizio Arrivabene. Ma questo è soprattutto il

trionfo di Sergio Marchionne. Il capo supremo, il

Presidente che pare lontano e invece le vicende

della Scuderia le segue, eccome. «Sta nell'ombra,

ma quando c'è un problema interviene. E' andato

anche ai meeting dello strategy group. Certo non

è uno che usa il metodo Montessori...».

L'uomo ha maniere forti, a volte ruvide, può non

piacere – e infatti a molti non piace. Ma per ora

ha avuto ragione. Ha rovesciato Maranello, can-

cellando nei fatti l'era Montezemolo, usando

Mattiacci – anche cinicamente – come rottama-

tore, e poi sostituendolo con Arrivabene quando

si è accorto che il manager romano con il team

non aveva trovato il giusto feeling. Era stato però

proprio Mattiacci a contattare Vettel, quindi un

po' del merito di questa vittoria ce l'ha anche lui,

come un pezzettino della “vecchia Ferrari” c'è in

tante cose, in questo ha ragione Montezemolo:

dalla struttura ereditata da Stefano Domenicali a

un telaio su cui aveva messo le mani Nick Tomba-

zis prima di essere cacciato. Un ruolo importante

o ha avuto anche Rory Byrne, l'uomo del grande

ciclo targato Brawn, Todt e Schumacher, che in

sede di progetto ha individuato uno dei problemi

strutturali della vecchia monoposto nelle sospen-

sioni posteriori che sporcavano l'aerodinamica e

limitavano la trazione. Sulla nuova power unit

aveva iniziato a intervenire Luca Marmorini, il suo

lavoro poi è stato raffinato e corretto da Resta e

Binotto. Ma la verità è che è stato Marchionne,

sempre lui, a mettere in mano a James Allison il

timone del futuro della Rossa. Ad affidargli una

rivoluzione a tratti silenziosa a tratti eclatante, co-

munque radicale nella visione, negli obiettivi, nel-

l'orizzonte dei desideri. A predicare che la Ferrari

doveva tornare protagonista, e in fretta, non ac-

contentarsi di vivere di grandi ricordi. Il trionfo

scacciapaure di Sepang è il primo pezzetto di un

cammino ancora lungo. Ora ci si chiede se la

Rossa può davvero sfidare la Mercedes del Mon-

diale, anche grazie ai tre “gettoni” di sviluppo in

più che ha in mano rispetto alla concorrenza. «Bi-

sogna tenere i piedi per terra – predica adesso

Arrivabene – essere umili. In Australia ho predi-

cato coraggio, ho fatto il Fonzie della situazione,

ma i festeggiamenti li faremo al momento oppor-

tuno. Mi auguravo due vittorie quest'anno, siamo

già a una, forse è arrivata persino troppo presto.

Non ci esaltiamo troppo». Anche perché se per

caso ne arrivassero quattro dovrà mantenere il

voto fatto prima dell'inizio del Mondiale, e an-

dare a piedi da Maranello a Sestola.

Questione di chilometri, e questione di secondi.

Dai meno 35 (secondi) di melbourne, ai più 8 di

Sepang, ma guai a dimenticare che quello Austra-

liano era un tracciato cittadino e un po' bugiardo.

Fra la Cina e Barcellona spremo un po' più di ve-

rità.