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MONDIALE RALLY

Portogallo

Guido Rancati

Non può piovere per sempre, neppure sulla testa di Jari-Matti

Latvala. E finalmente, alla conclusione di un Rally del Portogallo

nel quale non ha sbagliato proprio niente, il finlandese torna

sull'attico di un podio iridato a godersi una bella giornata di

sole. Che non può bastare a far dimenticare le sue tante,

troppe malefatte del recente passato, ma in qualche modo lo

aiuta a ricordare alla gente dei rally che nel suo dna c'è anche

una certa genialità e non solo sregolatezza. E lo autorizza a

sperare di continuare ad avere un volante da stringere fra le

mani anche nella prossima stagione. Era da un bel po' che non

gli capitava di guardare tutti dall'alto al basso: l'ultima volta gli

era successo in Alsazia ai primi di ottobre dell'anno scorso,

quasi otto mesi. Una mezza vita, per uno che dispone di una

vettura che resta l'oggetto dei desideri per tutti coloro che di

mestiere fanno il pilota. Per uno al quale, da tempo quasi im-

memorabile, sono in tanti a riconoscere doti decisamente fuori

dal comune. E a prevedere un futuro tinto con i colori più belli,

quelli dell'iride.

Una rondine non fa primavera neppure a Toysa, dove è nato

trent'anni fa. Lo sa pure lui, ma nell'allegra confusione di ogni

fine gara cerca di non pensarci. Non troppo, almeno. Fra

strette di mano e pacche sulle spalle ripete quello che aveva

detto qualche ore prima, dopo che si era lasciato alle spalle i

trentadue chilometri e rotti della prova di Viera do Minho, la

più lunga delle tre proposte nell'ultima frazione. Quella che

avrebbe potuto rovinargli la festa e che invece aveva sfruttato

al meglio per chiudere, di fatto, la partita. Parla di un rally duro

e ribadisce la sua soddisfazione per avercela fatta a conclu-

derlo senza particolari affanni, resistendo alla tentazione di

“buttare il cuore oltre l'ostacolo” negli undicimila e cento cin-

quanta metri del tratto di Fafe soltanto per far suoi anche i tre

punti supplementari. Nel tempo ha imparato che duellare in

condizioni ambientali sostanzialmente uguali con Sébastien

Ogier è un gioco assai pericoloso e aveva evitato di farlo: non

se l'era presa comoda, ma aveva evitato di andare all'assalto a

testa bassa. Insomma, s'è per così dire accontentato di vincere

la guerra lusitana. E chi si accontenta, gode.

Pure il pluridecorato francese con l'altra Polo, quella con il nu-

mero 1 sui vetri, s'è accontentato. Penalizzato dal dover fare da

spazzino, ha affrontato la terra del nord portoghese con la cau-

tela di chi non vuole rovinare tutto troppo presto. Settimo

dopo la prima boucle del venerdì a venticinque secondi e sei

dalla vetta, sesto dopo la seconda a venticinque e otto, sabato

ha gradualmente aumentato il ritmo. All'unico successo par-

ziale rastrellato il primo giorno ne ha aggiunti altri tre e tanto

gli è bastato per riportarsi a meno di dieci secondi dal bollente

e ispirato compagno di squadra. Per mettergli pressione. Il

tempo di assestargli un altro colpetto nel primo passaggio da

Fafe ed è tornato solo a pensare al campionato: “Non mi pa-

reva il caso di esagerare e nel penultimo round mi sono impo-

sto di non farlo”, spiega a bocce ferme. Dopo essersi messo in

saccoccia quanto basta per consolidare il suo primato nella

classifica del mondiale. Per rafforzare la sua già pesantissima

ipoteca sul terzo titolo.