42
MONDIALE RALLY
Portogallo
Guido Rancati
Non può piovere per sempre, neppure sulla testa di Jari-Matti
Latvala. E finalmente, alla conclusione di un Rally del Portogallo
nel quale non ha sbagliato proprio niente, il finlandese torna
sull'attico di un podio iridato a godersi una bella giornata di
sole. Che non può bastare a far dimenticare le sue tante,
troppe malefatte del recente passato, ma in qualche modo lo
aiuta a ricordare alla gente dei rally che nel suo dna c'è anche
una certa genialità e non solo sregolatezza. E lo autorizza a
sperare di continuare ad avere un volante da stringere fra le
mani anche nella prossima stagione. Era da un bel po' che non
gli capitava di guardare tutti dall'alto al basso: l'ultima volta gli
era successo in Alsazia ai primi di ottobre dell'anno scorso,
quasi otto mesi. Una mezza vita, per uno che dispone di una
vettura che resta l'oggetto dei desideri per tutti coloro che di
mestiere fanno il pilota. Per uno al quale, da tempo quasi im-
memorabile, sono in tanti a riconoscere doti decisamente fuori
dal comune. E a prevedere un futuro tinto con i colori più belli,
quelli dell'iride.
Una rondine non fa primavera neppure a Toysa, dove è nato
trent'anni fa. Lo sa pure lui, ma nell'allegra confusione di ogni
fine gara cerca di non pensarci. Non troppo, almeno. Fra
strette di mano e pacche sulle spalle ripete quello che aveva
detto qualche ore prima, dopo che si era lasciato alle spalle i
trentadue chilometri e rotti della prova di Viera do Minho, la
più lunga delle tre proposte nell'ultima frazione. Quella che
avrebbe potuto rovinargli la festa e che invece aveva sfruttato
al meglio per chiudere, di fatto, la partita. Parla di un rally duro
e ribadisce la sua soddisfazione per avercela fatta a conclu-
derlo senza particolari affanni, resistendo alla tentazione di
“buttare il cuore oltre l'ostacolo” negli undicimila e cento cin-
quanta metri del tratto di Fafe soltanto per far suoi anche i tre
punti supplementari. Nel tempo ha imparato che duellare in
condizioni ambientali sostanzialmente uguali con Sébastien
Ogier è un gioco assai pericoloso e aveva evitato di farlo: non
se l'era presa comoda, ma aveva evitato di andare all'assalto a
testa bassa. Insomma, s'è per così dire accontentato di vincere
la guerra lusitana. E chi si accontenta, gode.
Pure il pluridecorato francese con l'altra Polo, quella con il nu-
mero 1 sui vetri, s'è accontentato. Penalizzato dal dover fare da
spazzino, ha affrontato la terra del nord portoghese con la cau-
tela di chi non vuole rovinare tutto troppo presto. Settimo
dopo la prima boucle del venerdì a venticinque secondi e sei
dalla vetta, sesto dopo la seconda a venticinque e otto, sabato
ha gradualmente aumentato il ritmo. All'unico successo par-
ziale rastrellato il primo giorno ne ha aggiunti altri tre e tanto
gli è bastato per riportarsi a meno di dieci secondi dal bollente
e ispirato compagno di squadra. Per mettergli pressione. Il
tempo di assestargli un altro colpetto nel primo passaggio da
Fafe ed è tornato solo a pensare al campionato: “Non mi pa-
reva il caso di esagerare e nel penultimo round mi sono impo-
sto di non farlo”, spiega a bocce ferme. Dopo essersi messo in
saccoccia quanto basta per consolidare il suo primato nella
classifica del mondiale. Per rafforzare la sua già pesantissima
ipoteca sul terzo titolo.