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FORMULA 1

Lewis Hamilton

“Per arrivare al top

devi liberarti la mente”

Tutti sanno la storia del bimbo Lewis che a 10 anni va

a stringere la mano ad un perplesso Ron Dennis per

dirgli: «Mi chiamo Hamilton, un giorno guiderò una

delle sue macchine». Pochi immaginano cosa gli è co-

stato davvero mantenere quella promessa attraver-

sando una vita non facile, reggendo una pressione

immensa. Tutto per arrivare a sentirsi perfetto, intocca-

bile, espandendo il proprio ego e le proprie sensazioni,

a volte con il rischio di sorpassare il limite. «Il brutto è

quando ti svegli la mattina e ti rendi conto di aver gui-

dato come un idiota. Fortunatamente non mi capita

tanto spesso... Però, non ti puoi mai fermare. C'è sem-

pre qualcosa da limare, che si tratti di capire come ge-

stire la macchina all'uscita di una curva o dei rapporti

con i media. Dire: c'era sovrasterzo, oppure avevo

molto sottosterzo è facile; il guaio è che dietro ci pos-

sono essere dieci motivi diversi per cui succede. Per

arrivare al massimo devi sederti ore con gli ingegneri e

discutere di come si comporta la macchina al centro

della curva, o di come reagisce alla frenata, ma anche

sapere quando devi spegnere il cellulare, mangiare

bene, riposarti e smettere di pensare alle sciocchezze.

Per arrivare al massimo devi liberarti la mente da tutto

ciò che non conta».

“Mio padre è stato molto

duro e gliene sono grato”

Un lavoro iniziato tanti anni fa, a fianco di papà An-

thony: «Si piazzava in un angolo a Rye House, nel kar-

ting, e si annotava il punto in cui i migliori frenavano,

poi quando eravamo da soli si piazzava pochi metri più

indietro e mi diceva di frenare nello stesso punto. Io ci

provavo centinaia di volte, la maggior parte delle volte

finendo in testacoda. Ma se ora freno più tardi di tutti

lo devo a quell'allenamento. Mio padre è stato molto,

molto duro come me quando ero bambino, e gliene

sono grato. Eravamo l'unica famiglia di colore a girare

per i circuiti, non è stato facile, c'era un sacco di gente

che pensava di essere meglio di noi. Ci sono state tante

aziende che ci hanno dato una mano, credendo in noi,

ma ho dovuto anche lavorare molto su me stesso. Non

ho mai avuto un preparatore fisico nelle serie minori,

ma alla mia prima gara di F.1 sono arrivato in perfetta

forma». Un titolo nel 2008, poi tanti, troppi anni passati

a mordere la polvere, ad osservare i trionfi degli altri,

soprattutto quelli di Sebastian Vettel. Con cui faceva

un tempo comunella contro Fernando Alonso e che ora

giudica con molto più distacco da quando sulla Ferrari

ha iniziato a rappresentare un possibile problema per

la Mercedes dei prossimi anni.

“Non mi importa di

quel che pensa la gente”

Il suo vero idolo rimane Ayrton Senna, averlo raggiunto

a quota tre titoli, Hamilton sembra aver trovato un oriz-

zonte diverso. Anche lui ama invocare protezioni e

guide celesti («Dio è la cosa più importante della mia

vita, lo strumento che mi ha consentito di uscire da

tante situazioni difficili»), ma sa bene che la felicità non

può prescindere dall'indipendenza e dalla libertà.

Quella che ha trovato in una scuderia come la Merce-

des e che sta raggiungendo in questa parte della sua

vita. «Il sogno di ogni pilota è avere a disposizione una

macchina che si comporta come vuoi, ed è quello che

sta succedendo ora a me. Poi, c'è la mia vita privata.

Ho trent'anni e me la sto godendo al massimo. Mi cri-

ticano, ma quando vinco certe gare tutto va a posto.

Non me ne importa nulla di quello che pensa la gente,

ecco la verità, perché in fondo non conta. Conta solo

come mi sento io. Questo momento della mia vita pas-

serà, lo so, ma un giorno vorrò essere sicuro di averlo

vissuto al massimo. E più di tutto, voglio essere sicuro

di aver guidato meglio di chiunque altro».

Questo momento della mia vita passerà,

lo so, ma un giorno vorrò essere sicuro di averlo

vissuto al massimo. E più di tutto, voglio essere sicuro

di aver guidato meglio di chiunque altro