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Stefano Semeraro

A uno come Sergio Marchionne, re dei blitz-krieg finanziari a cavallo di due e più continenti, sentirsi dire che

la Ferrari sbaglia (quasi) tutte le strategie deve dare un fastidio terribile. Eppure è così, nonostante le parole

di Sebastian Vettel a fine gara quando ha sostenuto di aver condiviso le scelte del muretto, e quelle di Mau-

rizio Arrivabene che – ne dubitavate? - la squadra è su di morale e a Suzuka «considerati gli arretramenti in

partenza, abbiamo fatto il massimo». Già degli arretramenti sarebbe meglio non parlare: le tre posizioni

perse da Vettel sono la conseguenza della penalità incassata una settimana fa, ma le cinque di Kimi Raik-

konen dovute al problema al cambio fanno rabbia. Se poi ci si mette l'harakiri compiuto da Jock Clear &

Co. quando hanno deciso di richiamare Vettel per montargli le supersoft a 19 giri dalla fine, sperando di

acchiappare Max Verstappen e invece facendosi saltare da Lewis Hamilton, lo sconforto inizia a dilagare.

La scusa del rischio necessario, dell'azzardo che andava preso, inizia a mostrare la corda. Certo, il giro

da record di Hamilton che gli ha consentito di soffiare un podio già fatto al ferrarista ha sorpreso tutti;

ma il compito degli strateghi del muretto è proprio quello di non farsi cogliere impreparati. Invece, da

quel famoso GP di Abu Dhabi in cui per marcare Mark Webber, Fernando Alonso fu fatto fermare, con-

sentendo a Vettel di involarsi per il mondiale, sembra che a Maranello si sia insediata una forza oscura,

un grumo di malocchio che quasi sempre impedisce al tema di fare la cosa giusta.

Vettel spegne i fuochi

Strategia alla Tafazzi

I dati in possesso del muretto oggi sono tantissimi, di sicuro serve una mente geniale per azzeccare

l'opzione giusta in pochi attimi cruciali. Ma se errare è umano, perseverare è diabolico. Big data, grande

flop, insomma? Persino Chris Horner si è detto stupito della mossa dei rivali. E le parole di Vettel sem-

brano davvero un cerottino messo a coprire una ferita viva. «Speravamo che le soft andassero meglio»,

ha detto. «Seguire la strategia di Verstappen non aveva senso, meglio azzardare. Credevamo di fare

la cosa giusta e sono contento di quanto abbiamo fatto». Alimentare una polemica è l'ultima cosa

che serve ora i ferraristi, Seb è stato bravo a prendersi la sua dose di colpa – ammesso che l'abbia

avuta – e pazienza se per qualcuno dopo quel pit-stop sbagliato, infilato nella rush-hour dei doppiati,

il tedesco ha dato l'impressione di tirare i remi in barca. «Un'altra strategia alla Tafazzi», ha com-

mentato invece Luca Baldisserri, l'uomo che sussurrava all'orecchio di Michael Schumacher, la cui

fede ferrarista non può essere messa in dubbio. Nella sua frenesia di cambiare, rivoluzionare, rot-

tamare forse Marchionne ha esagerato, perché prima di rivoluzionare bisognerebbe capire cosa

veramente va cambiato, e se i ricambi sono all'altezza. James Allison ha pagato colpe che forse

non erano tutte sue, Jock Clear ora dovrà sforzarsi molto per spiegare al suo Presidente come

mai con una macchina che ora sembra decentemente veloce il muretto non riesce quasi mai a

mettere Raikkonen e Vettel nella condizione di godere di un qualche vantaggio di astuzia sulla

concorrenza. Perché gli azzardi mancati, quando si ripetono troppo spesso, iniziano ad assomi-

gliare tremendamente a un fallimento.