Italiaracing.net Magazine - page 69

ancora sfidarsi e capire quanto funziona la
loro tecnologia. Il risultato è che sembra di
vedere Bridgestone eMichelin quando erano
in F.1, e lo sviluppo è estremizzato al punto
che gli altri (Yokohama e Dunlop, ndr) non
riescono più a tenere il passo. Per me, poi,
vincere conMichelin è una sensazione parti-
colare perché ho fatto parte della loro cresci-
ta e insieme abbiamo vinto i nostri primi due
campionati".
Quest'anno sono arrivate le nuove
macchine, frutto di un accordo con il
DTM che vede molte parti in comune
fra i due campionati. Come è cambia-
ta la guida?
"C'è molto più carico aerodinamico, per cui
nelle curvemedio veloci si porta in curva tan-
ta velocità. La guida è molto simile a quella
di una monoposto, perché anche se il peso è
superiore in realtà il rollio praticamente non
si sente, per cui la macchina è piantata a ter-
ra. Poi sono arrivati i motori 2 litri turbo, più
potenti dei V8 aspirati che usavamo fino
all'anno scorso, per cui ci sono anche più
cavalli. A Suzuka quest'anno la pole è stata
3"5 più veloce di quella del 2013, è unmiglio-
ramento impressionante".
Secondo lenuove regolemolti partico-
lari devono essere identici tra i model-
li dei tre costruttori: monoscocca, dif-
fusoreanteriore, estrattoreposteriore
e alettone. In una situazione del gene-
re come si riesce a fare la differenza?
E come può la Honda ad essere così
indietro?
"È vero, molte parti sono identiche per rego-
lamento, ma ci sono ancora zone dove è pos-
sibile fare la differenza. A livello aerodinami-
co,peresempio,lacarrozzeriaèliberaedogni
costruttore lavora su quella del modello di
serie per provare ad avere il massimo carico.
Poi c'è la meccanica, con la geometria delle
sospensioni che ad esempio è libera, lì si può
trovare un qualcosa in più. Sulla situazione
Honda forse non sono il più indicato per
rispondere, ma loro hanno scelto di utilizza-
re due soluzioni uniche per il campionato, il
motore centrale e il Kers. L'organizzatore ha
ritenuto che entrambe rappresentassero un
vantaggio, e quindi li ha penalizzati con 70
chili di zavorra sul peso minimo. Nelle ulti-
me gare vista la situazione gliene hanno tol-
ti 15, e grazie anche allo sviluppo che hanno
fatto sul motore stanno risalendo la china. A
Suzuka erano competitivi, specialmente sul
dritto".
Con la permanenza di Caldarelli e l'ar-
rivo di Liuzzi la pattuglia italiana è
diventata la più consistente del cam-
pionato, ovviamente parlando dei
piloti stranieri. Avetemododi vedervi,
vi frequentate fuori dalla pista?
Giusto prima della gara di Suzuka abbiamo
fatto una giornata insieme a Tokyo, per uno
speciale che la rivista Motorsport ha voluto
fare proprio su noi italiani. Abbiamo girato
per la città, abbiamo avuto modo di parlare
edè stataunabellaopportunità. Aparteque-
sto non ci sono state molte occasioni. Loro
tornano in Europa abbastanza di frequente
e quando sono qui abitano a Tokyo, mentre
io sono a Yokohama. La distanza non è enor-
me, ma abbastanza da rendere la frequenta-
zione difficile. In pista a parte al briefing è
ancora più difficile vedersi, perché i tre
costruttori hanno a disposizione delle aree
ben separate nella pit-lane, e ognuno sta nel-
la sua zona. Senza contare poi che il lavoro
da fare è tanto e il tempo è poco".
Fin dal primo anno di gare in Giappo-
ne, nel 2003, hai scelto di trasferirti in
pianta stabile, mentre ancora oggi la
maggior parte dei piloti europei sce-
glie lavitadapendolare intercontinen-
tale. Come è nata quella scelta?
"A pensarci ora sono stato piuttosto corag-
gioso a decidere di trasferirmi subito, fin dal
primo anno. Alla base di tutto, comunque, ci
fu una scelta professionale. Quando il team
Ingingmi chiamòper correre laF.3All Japan
con un contratto da professionista capii che
poteva essere l'occasione della vita, e per
ripagarli della fiduciadecisi di trasferirmi per
essere sempre vicino alla squadra ed essere
sempre al top fisicamente, evitando le lunghe
trasferte intercontinentali. Poi, a margine,
c'èanche il fattoche finoa23anni avevosem-
pre vissuto in casa con i miei genitori e quin-
di un'esperienza di vita da solomi attirava. Il
Giappone non mi spaventava, era dal 97 che
lovisitavoalmenouna volta l'annoper le gare
di kart, quindi sapevo a cosa andavo incon-
tro".
Anche per esigenze "familiari" parli il
giapponese alla perfezione. In che lin-
gua ti esprimi sul lavoro, con gli inge-
gneri e in generale con il personale
Nismo? Conoscere la lingua è un van-
taggio?
"Dal 2008 parlo solo in giapponese sul lavo-
ro. La prima squadra Nissan per cui mi tro-
vai a guidare, nel 2008 e nel 2009, era il
team Hasemi, una piccola squadra dove né
il proprietarioné gli ingegneri parlavanouna
parola di inglese, per cui fui praticamente
obbligato. Oggi non ho nessuna difficoltà ad
esprimermi, e in questo credo di avere un
piccolo vantaggio sugli altri piloti. Inoltre
conoscere la lingua è un vantaggio perché al
contrario di quello che molti pensano la
conoscenza dell'inglese non è così diffusa in
Giappone".
Tornando al campionato, chi vedi
come i tuoi rivali più pericolosi?
"Al di là di Caldarelli e Ito, che sono vicinis-
simi, e che sono i nostri principali avversari
inquestomomento, ci sonopiùmacchineche
hanno un distacco in classifica contenuto e
sono ampiamente in corsa per il titolo. Non
dovremo sottovalutare Yasuda-de Oliveira,
chehanno 'toppato' al Fujimasonostati velo-
cissimi per tutta la stagione, e anche Nakaji-
ma-Rossiter andranno tenuti d'occhio. Se la
Honda poi dovesse continuare a crescere,
allora anche Naoki Yamamoto diventerebbe
pericoloso".
Cosa significherebbe per te conquista-
re il terzo titolo con la Nissan?
"Sarebbe incredibile, l'obiettivodi unacarrie-
ra. Nessun europeo ci è riuscito prima, e vor-
rebbedireavere raggiuntoMotoyama, il pilo-
ta che quando arrivai in giappone era il mio
punto di riferimento, un fenomeno vero che
in quegli anni era all'apice della carriera sia
un F.Nippon che nel GT. Sarebbe un'impre-
sa, ma per realizzarla bisognerà dare il mas-
simo per altri tre mesi. Io, però, sono pron-
to".
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