54
INDYCAR
Luca Filippi
Marco Cortesi
Filippi c'è. Dopo un inizio stagione forse un po' sotto le aspet-
tative nonostante diversi buoni piazzamenti, il pilota del team
CFH ha messo in mostra tutto il suo potenziale su una pista
già conosciuta, dimostrando di poter fare la differenza in ter-
mini di gestione della gara e della vettura, oltre che di tempi
sul giro. Dopo la top-6 in qualifica, in gara Luca non ha sba-
gliato nulla, riportando il tricolore sul podio di una gara for-
mula americana dopo un digiuno che durava dai tempi di Alex
Zanardi. Ora, grazie ad una vettura finalmente "su misura", è
pronto per tornare al via a Mid-Ohio, dove aveva già impres-
sionato in passato, e Sonoma.
Com'è arrivato il secondo posto di Toronto?
“Siamo stati forti tutto il weekend, e in realtà nella fast six
avevamo perfino qualcosa da recriminare. In gara poi sape-
vamo di poter essere almeno da quinto o sesto posto in con-
dizioni normali. Già a Detroit la macchina aveva fatto un passo
avanti ,e anche in termini di handling la sentivo mia. Ero in
grado di ripetere le cose giro dopo giro. Diciamo che avevo
delle certezze in più”.
Qual è stata la fase decisiva?
“Abbiamo fatto la differenza sulla costanza, in particolare
nella fase prima del secondo pit-stop: abbiamo aspettato per-
ché anziché calare riuscivamo a spingere sempre più forte.
E' la condizione che preferisco, in cui occorre spingere in pro-
gressione con gomme non più fresche... senza distruggerle.
Dopo una sequenza di giri veloci sono riuscito a trovarmi da-
vanti, e conquistare il secondo posto”.
E senza la fortunata sosta di Newgarden... avresti vinto!
“Chiaramente, la vittoria è la vittoria, la prendi come ti arriva.
Però abbiamo battuto i leader sul campo a suon di giri veloci
e di questo sono felicissimo. Poi Josef è stato fortunato con
le bandiere gialle... ho finito secondo ma sono consapevole
del potenziale che abbiamo dimostrato”.
Quanta differenza ha fatto l'esperienza dello scorso anno a
Toronto?
“Tantissimo. In IndyCar i distacchi sono talmente piccoli che
in qualifica basta anche un solo decimo, cioè una mezza traiet-
toria fuori posto o una frenata non perfetta, per perdere ter-
reno e fare la differenza, ad esempio, tra non superare la Q1
e arrivare nel gruppo dei primi 12. L'esperienza è fondamen-
tale: ci sono cose che, anche se le hai metabolizzate nelle li-
bere, devi poi mettere insieme in un singolo giro. Non è facile,
specie considerando che il meteo ci ha fatto perdere molte
volte la possibilità di girare quest'anno”.
E per quanto riguarda gli ovali? Pensi che saranno nel tuo fu-
turo?
“Non ho mai provato ma mi affascinano. Prima di tutto è
una componente fondamentale del motorsport americano,
e desiderando di farne parte, è importante passare anche di
lì, provare, capire. Inoltre, richiede una sensibilità partico-
lare e credo che mi potrei esprimere bene. Quest'anno ho
avuto un'ottima chance sugli grazie a Ed Carpenter, e non
escludo di ripetere l'esperienza anche l'anno prossimo. Do-
potutto, così ho avuto anche la possibilità di apprendere le
cose per gradi, concentrandomi prima sugli stradali e sui
cittadini. Però nel medio termine l'obiettivo è quello di lot-
tare ad alti livelli per il titolo, disputando tutto il campio-
nato”.
Qual è stato il maggiore ostacolo per entrare appieno nel
mondo IndyCar?
“Onestamente non ho trovato un vero ostacolo. Le possibilità
per mettermi in mostra le ho avute: dopotutto, se non avessi
fatto bene da Herta non ci sarebbe stata la possibilità con
Rahal, e se non avessi fatto bene da Rahal non sarei qui oggi.
Nonostante qualche errore di troppo, lo scorso anno non è
stato affatto negativo. A Houston ho conquistato il Fast Six ed
ero molto veloce. Anche il fatto di arrivare da un lungo stop
non ha aiutato, però sono riuscito a sfruttare l'opportunità
concessa”.
Prova
di qualità
Grazie ad una performance eccellente, in particolari nelle delicate
fasi che hanno preceduto l'ultimo pit-stop, il ventinovenne
piemontese ha centrato il suo miglior risultato in IndyCar