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Stefano Semeraro

Si può paragonare un fuoriclasse ad un mito? Uno che correva

per tutti a uno che corre per se stesso? Un eroe popolare in

missione per conto di Dio (almeno così diceva), ad un principe

del glamour in missione per conto di un io celebrato in mille

tweet? Lewis Hamilton ha raggiunto Ayrton Senna per numero

di vittorie ed è inevitabile che scattino i paragoni, i confronti,

le classifiche. Che reggono fino ad un certo punto se la base

sono i numeri, le statistiche: il numero di vittorie, quello delle

partenze (anche lì ci siamo), dei titoli mondiali (fra poco ci sa-

remo...). Entrambi hanno corso all'apice con una vettura domi-

nante, la McLaren di allora, la Mercedes di oggi. Anche Senna

ha gareggiato contro una Ferrari in piena rinascita dopo un pe-

riodo di eclissi (ricordate il duello con Alain Prost nel 1990), ma

ha avuto un compagno di squadra molto più forte: vogliamo

paragonare Prost, che prima di trasferirsi a Maranello era a Wo-

king con Ayrton, a Rosberg?

Senna e Hamilton

divisi da epoche diverse

Ayrton è dunque stato raggiunto a quota 41 vittorie da Hamil-

ton, ma resta in testa se contiamo le pole, 65 contro 49, anche

se Hamilton ha quattro anni di tempo per recuperare, ed è da-

vanti per giri veloci, 26 a 19. Ovviamente non si può comparare

in assoluto il totale di punteggi mondiali, perché il sistema di

attribuzione è cambiato, di sicuro il brasiliano ha un rapporto

migliore fra giri percorsi e giri percorsi in testa. Ma i numeri, uti-

lissimi, non bastano comunque. Ci dicono qualcosa. Non spie-

gano tutto. Possono fornirci una parametro. Non misurare un

sentimento. Senna ha avuto il vantaggio di correre in un epoca

magica per lo sport in generale, non solo per l'automobilismo,

quella precedente al disincanto. I piloti erano più uomini e più

santi insieme, più eroi e meno divi; la televisione era ancora più

un medium che un messaggio. Allora c'era spazio per sogni più

larghi e generosi, oggi che la realtà è diventata più virtuale pa-

radossalmente sembra di averla costantemente a portata di

mano, e invece ci sfugge, come pure la natura dei campioni.

Ci illudiamo di conoscerli perché sono costantemente a por-

tata di social network, in realtà ne sappiamo meno di un tempo.

Ayrton rimane

il mito di Lewis

Senna poi, tragicamente, è stato trasportato ad un livello supe-

riore di venerazione per via della sua morte violenta. Lo giudi-

cheremmo nella stessa maniera se avesse finito la sua carriera

un po' mestamente come sta facendo Fernando Alonso? Pro-

babilmente sì, perché Ayrton era un mistico e le sue imprese

trascendevano l'immediatezza dell'evento. Ma non possiamo

averne la certezza. La sua fine è stata un inizio, di sicuro gli ha

evitato i pericoli di ogni tramonto. La sua classe era immensa,

ma era il fuoco che aveva dentro – nelle parole, negli sguardi,

nei gesti - che ti faceva tifare per lui. Tutti gioivano quando

Senna vinceva in lacrime un GP passato a scarnificarsi le mani

per un guaio al cambio. Hamilton è un campione assoluto, me-

rita l'onore del paragone, ma al di fuori della gara statistica è

difficile che lo vinca. E' forse l'ultimo dei romantici – e infatti ha

detto spesso che gli sarebbe piaciuto correre negli anni 70 e 80

- ma è capitato in un'epoca che ha perso l'aura, che assomiglia

più ad un videogame che ad un gioco di prestigio. Non è colpa

sua, però parte battuto. Non è un caso se Senna, al di là dei nu-

meri, resta il mito di tutti. Anche il suo. .

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Raggiungere il numero di vittorie di Ayrton, proprio a Suzuka,

dove io adoravo vederlo guidare... non è qualcosa che posso descrivere.

Al momento non mi sembra neppure reale

LEWIS HAMILTON