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Hamilton è il campione in carica, eppure molti lo criticano per

il suo stile di vita. Condivide?

«Ad Hamilton basta vincere. Quando uno fa il suo lavoro, non

c'è niente da criticare. Lui si gode la vita e va benissimo così».

Un top-driver della Indy Car, uno Scott Dixon ad esempio, sa-

prebbe vincere anche in F.1?

«Siamo tutti esseri umani. Sento sempre dire: “eh, i piloti di

ieri erano più bravi...”, ma ciò che fa la differenza è quello che

ha in mano. Un bravo pilota in Europa è un bravo pilota in Ame-

rica, e viceversa. L'ho sempre pensato, girando per le tante ca-

tegorie in cui ho corso, il senso che hai come pilota alla fine è

lo stesso. Cerchi il giusto equilibrio, una macchina che sappia

darti una possibilità. Con una Ferrari o con una Mercedes, un

bravo pilota Indy sarebbe sicuramente capace di vincere».

Nel 2016, dopo tante stagioni, in F.1 correrà anche un team

americano: con che prospettive?

«Il team Haas per ora si è presentato bene. Gunther Steiner

conosce bene l'ambiente, poi con l'aiuto della Ferrari, che gli

fornisce i motori, e con Dallara che realizza la macchina... si

vedrà. E' bello vedere che anche gli Usa entrano ufficialmente

in F.1. Sarebbe bellissimo vedere uno scambio fra questi due

mondi, come quando Mansell veniva a correre qui. Nel '94

anche Senna provò una Penske, e ricordo Montezemolo che a

quei tempi mi aveva invitato a Maranello: 'Sarai i nostri occhi',

mi disse. Pensavano di entrare in questa categoria. Del resto la

IndyCar si merita grandi cose. E' la serie più vecchia dell'auto-

mobilismo, tutto è comin-

ciato qui, tanto che

possiamo tenere i record a

partire dal 1920. Prima si

chiamava Triple A, poi Usac,

Cart, IndyCar: i nomi sono

cambiati ma la serie è sem-

pre la stessa. Quest'anno la

100esima edizione di Indy

sarà una celebrazione tutta la

categoria, che è molto com-

plessa da affrontare. Un cam-

pione qui deve essere bravo

nelle piste stradali, sui trac-

ciati cittadini, sugli ovali

corti, su quelli medi e sui

super-speedway come India-

napolis. E' l'unica serie che chiede questa capacità di adattarsi.

Il campione di questa serie è il più completo. Del resto a Phoe-

nix Alessandro Rossi aveva gli occhi così, fuori dalle orbite, nel

vedere che su una pista lunga un miglio si fanno medie di 340

all'ora, e che in curva becchi 5 G e mezzo di accelerazione...».

Parlava prima della sua esperienza in F.1, della quale è stato

campione nel 1978 con la Lotus. Con la Ferrari invece, di cui fu

pilota nel 1971-'72 e poi nell' 82, quali sono i suoi ricordi più

vivi?

«Forse l'ultimo episodio, nell'82 quando ho sostituito povero

Pironi a Monza. Guidare con 1100 cavalli a Monza, potete im-

maginare... quella resta la macchina che mi ha impressionato di

più in tutta la mia carriera. Poi con Enzo Ferrari ero abituato a

contrattare direttamente, non c'era il dottor Gozzi e nessun

altro intermediario. Non era una cosa normale, ma io ci tenevo

tantissimo».