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Stefano Semeraro

Sentiva che il Mondiale in cui non aveva mai smesso di credere

gli stava scappando di mano, e ha fatto di tutto per trattenerlo.

Anche perché Lewis Hamilton resterà per sempre convinto che

questo titolo era suo, e che solo le magagne tecniche più o

meno casuali, più o meno prevedibili, hanno potuto toglier-

glielo. Del resto sarebbe un po' ingenuo chiedere ad un fuori-

classe come lui di arrendersi con il sorriso sulle labbra,

allargando le braccia e dicendo: “pazienza, ha vinto il migliore”.

Anche perché Hamilton è straconvinto di essere lui il migliore,

da sempre (e probabilmente non ha tutti i torti).

L'ultima carta che si è giocato ad Abu Dhabi, quel rallenta-

mento estremo nel tentativo di compattare il gruppetto di

testa sperando che Verstappen e Vettel riuscissero a scavalcare

Rosberg garantendogli la differenza punti che gli serviva, ha

fatto indignare le anime belle, ma non può essere condannata.

Non ha compiuto irregolarità, Lewis, non ha danneggiato nes-

suno, ha usato semplicemente l'unica tattica che gli rimaneva

a disposizione.

«Non so perché alla fine non ci hanno lasciato correre in pace»,

ha detto alludendo ai richiami insistenti, al pigolio di raccoman-

dazioni che gli arrivava in cuffia da un box sull'orlo della crisi di

nervi. «Non c'è mai stato un momento in cui la gara non fosse

nelle nostre mani. Io non ho fatto nulla di pericoloso né di

sleale, ero in testa e ho deciso il ritmo della gara, ma sempre

all'interno del regolamento. Ho chiesto informazioni sui tempi

di Vettel, ho sperato in lui. Ho fatto quello che potevo. Non

capisco perché abbiano continuato a parlarci via radio, il Mon-

diale costruttori era già nostro da un pezzo, io ho perso un

sacco di punti ed ero in pista per lottare, non ho fatto nulla che

potesse danneggiare la squadra. Nico ha fatto un grande la-

voro, e merita le mie congratulazioni. Ma se siamo seduti in

questo ordine alla fine è perché lui ha avuto una stagione senza

problemi tecnici». Poi le strette di mano, i sorrisi a denti stretti,

la fuga da un paddock che gli è sempre stato stretto, figuria-

moci nel giorno della sconfitta più bruciante.