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NASCAR
KURT BUSCH
Marco Cortesi
E’ opinione comune che nel mondo attuale,
dominato dai media, ognuno di noi si possa
assegnare una parte. Capita però, che a vol-
te la parte ci venga anche attribuita senza
grosse possibilità di ribaltare lo stato delle
cose. Kurt Busch ha vissuto una carriera di
alti e bassi che da questo aspetto è stata
dominata. Dalla vittoria del titolo Sprint
Cup, il pilota di Las Vegas si è trovato sca-
raventato - e non solo per proprie respon-
sabilità - nell’abisso di un ruolo da anti-
eroe dal quale solo nel 2013 è riuscito final-
mente ad emergere. Arrivato al vertice
dell’automobilismo internazionale grazie
al programma “junior” di una superpoten-
za come il Roush Racing, il trentaseienne
americano, figlio di un restauratore di auto
del Nevada, hamesso in scena sin da subito
un talento senza pari accompagnato da un
carattere senza compromessi. Motivazio-
ni? La voglia di essere lasciato in pace, di
essere solo un anonimo uomo qualunque
fuori dalle corse, ma anche la paura di usci-
re dall’iper-competitivo mondo NASCAR
come altre promesse mancate. Sta di fatto
che Busch inizia da subito a correre senza
compromessi e timori reverenziali, facen-
dosi tanti nemici. A suo favore non depon-
gono le trasmissioni radio con i team, che
sono pubbliche, rabbiose e piene di impro-
peri. L’odio del pubblico arriva quasi auto-
maticamente. Nel 2002, dopo un lungo
periodo di “scambio di favori” con un’altra
testa calda, Jimmy Spencer, i due finiscono
per fare a pugni. Busch ha la peggio e si frat-
tura il naso. Ma non basta perché - tutti lo
sanno - Spencer è un attaccabrighe. Al resto
ci pensa la macchina mediatica. Poco tem-
po dopo il “match”, la candida ammissione
di aver tentato di buttar fuori il rivale di
proposito accende la miccia del villano da
sbattere in prima pagina. E, ancor più grave
per come vanno le cose nell’ambiente, si
lascia scappare commenti poco lusinghieri
su alcuni colleghi notoriamente preferiti
dai fan e celebrati nonostante le poche vit-
torie. Il gioco è fatto. In uno sport feticisti-
camente legato all’immagine del pilota
idealizzato, sempre preciso, gentile e dispo-
nibile (anche per finta), Busch diventa un
reietto. Nonostante i le burrascose avven-
ture, il 2002 finisce con un terzo posto,
quattro vittorie e la palma di numero uno
nel team.
CAMPIONE NEL 2004
MA È SUBITO FANGO
Nel 2004, quella che per un pilota norma-
le sarebbe l’apoteosi. Busch conquista un
titolo all’ultimo respiro battendo niente-
meno che Jimmie Johnson. E’ un successo
che arriva al termine di una rincorsa tira-
tissima ma che, a quanto pare, non basta
a nessuno. A due gare dalla fine della sta-
gione 2005, quando ha già firmato per il
team Penske, uno sceriffo ferma Kurt
accusandolo di guidare ubriaco. Altra
bomba mediatica, altra sequela di odio
collettivo. Giusto per aggiungersi alla voce
comune, il team Roush lo appieda in tron-
co, in maniera sprezzante. “Siamo stufi di
fargli da balia” dicono. E ovviamente a
pochi importa che l’accusa si riveli falsa,
non supportata da test e altre prove. Che
lo sceriffo sia costretto a scusarsi. E che in
Roush di altri titoli non se ne vedano più.
La storia di Kurt Busch in casa Penske è
ancora segnata da alti e bassi. La sua gene-
rosità tattica regala a Ryan Newman la vit-
toria nella Daytona 500 del 2008, e nel
2009 è quarto in classifica. Ma ciò che sale
sembra destinato a scendere. Nel 2011,
trova in squadra uno spumeggiante Brad
Keselowski. Il suo matrimonio è in piena
crisi e, con uno che già di suo ha problemi
a controllare i nervi, i guai si riflettono
immediatamente in pista. Durante la sta-
gione viene messo all’angolo dal giovane
compagno e, per condire tutto, critica ed
insulta il team in radio continuamente,
arrivando anche ad attaccare in diretta
nientemeno Roger Penske. E’ ancora il
rapporto con la stampa a metterlo nei
guai. I suoi atteggiamenti particolarmente
ruvidi fanno sempre più notizia, facendo-
lo diventare un bersaglio facile. E lui scop-
pia: in più occasioni rivolge frasi irrispet-
tose agli intervistatori e, grazie all’antipa-
tia collettiva, gli episodi diventano feno-
meni virali. Penske dice basta: gli sponsor
quello non lo vogliono più. Hanno bisogno
di un pilota vendibile. Take a deep breath.
COME RICOSTRUIRSI
UNA IMMAGINE
E’ il momento di fare qualcosa. Potenzial-
mente senza più una carriera, a piedi e con
pochi sbocchi, accetta un contratto col
minuscolo Phoenix Racing. Con un budget
ridicolo, mette a segno prestazioni super-
be, vincendo in Nationwide Series e
andando vicino al successo in Sprint Cup
a Sonoma. Arrivano anche tanti incidenti,
ma il team owner James Finch sbotta: “O
vinci, o mi riporti ai box il volante” dice.
E se è vero che gli scatti d’ira e le contro-
versie restano, sotto sotto il cattivo ha ini-
ziato la strada del riscatto. Mentre i fan
continuano nel loro odio viscerale e i cac-
ciatori di scandali seguitano a sbatterlo in
prima pagina, lui ci prova davvero. Nono-
stante una sospensione rimediata a Dover
per aver ceduto ad una (bassa) provoca-
zione di un giornalista, Busch inizia a
ricomporre il puzzle anche perché realizza
che non gli verrà perdonato più niente.
Uno psicologo dello sport lo assiste duran-
te l’anno, mentre qualche amico giusto gli
offre una mano a rimettersi sulla buona
strada con i media anche tramite un docu-
mentario, “The Outlaw”, che sarà un suc-
cesso. La nuova fidanzata Patricia Dri-
scoll, imprenditrice di successo, lo aiuta a
migliorare sé stesso e la sua attitudine ver-
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