Italiaracing.net Magazine - page 70

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VIA DALL’ITALIA
RUGGERO APRILETTI
Si dice che tra le vetture Turismo, le
DTM siano le più simili alle monopo-
sto. Credi che la tua esperienza nelle
Formule possa aver fatto la differenza
nella scelta del team?
"Non saprei dirlo. Credo che quando si arriva
alla selezione finale in un contesto così com-
petitivo, le professionalità in gioco siano tut-
tedi altissimo livello, e chequindi sianoanche
considerazioni extra-tecniche a fare la diffe-
renza. Se in questo anno e mezzo di lavoro
insieme ho imparato a conoscere Bart e la
squadra che ha creato, credo che nella sua
scelta un grosso peso lo abbia avuto una valu-
tazione di come la persona selezionata si
sarebbe integrata nella struttura, anche a
livello caratteriale, di come sarebbe andata a
influire sul gruppo di lavoro".
Impossibile a questo punto non chie-
derti com'è l'atmosfera nel team
durante gli weekend di gara...
"È serena come non avevo mai visto altrove.
Credetemi, si lavora duro, si hanno momenti
buoni come altri più difficili, ma anche quan-
do si incappa in errori non esiste il concetto
di sfuriata, e non ci sono discussioni che non
siano impostate inmodo pacato e costruttivo.
Credo che in questo abbia molto peso quan-
to ho appena detto. Quando Mampaey sele-
ziona gli uomini, lo fa prestando molta atten-
zione anche al lato caratteriale. Non a caso, in
squadra c'è un'altra cosa che non avevo mai
visto altrove: una collaborazione totale tra gli
staff delle due vetture. L'interazione è conti-
nua, la condivisione dei dati assoluta, e credo
che alla fine sia anche grazie a questo che l'an-
no scorso abbiamo chiuso al secondo posto
nella classifica team".
Passiamo a questioni più pratiche.
Arrivando da GP2 e WSR, qual è stato
il tuo impatto con ilmondoDTM? Cosa
ti ha colpito di più?
"Senza dubbio la competitività. È il campio-
nato più difficile in cui abbia mai lavorato, e
amio avviso uno dei più difficili al mondo per
un ingegnere. Nelle monoposto ero abituato
a distacchi di decimi tra le prime file, e a vol-
te anche di un paio di secondi tra la prima e
l'ultima vettura in griglia. Qua in Q1 l'intero
gruppo, 23 vetture, può essere compresso in
sei decimi, la differenza tra entrare in Q2 o
restare fuori può essere di appena qualche
millesimo. E questo sempre, un fine settima-
na dopo l'altro. Per noi significa che per fare
ladifferenzabisogna lavorare suogniminimo
dettaglio, molto più che altrove".
Eri abituato a interpretare il feedback
di piloti che scendevanodamonoposto
ad alte prestazioni. È stato difficile
adattarsi ai resoconti dei piloti DTM?
"No, non particolarmente, le differenze le ho
avute molto chiare fin da subito. Se le mono-
posto tendono sempre ad assecondare di più
il pilota, premiando in generale una guida
molto istintiva, una vettura DTM è invece
molto più tecnica. Molti le paragonano a for-
mule a ruote coperte, ma io credo non sia cor-
retto. Hanno meno carico aerodinamico e
molto peso in più, quindi credo che come sti-
le di guida si avvicinino di più a un prototipo
LMP. Questo significa che per farle andare
forte, vanno necessariamente guidate in un
certo modo, e il pilota deve tenerne conto".
Questo significa che rispetto ad altre
categorie il tempo che l'ingegnere pas-
sa insieme al pilota è maggiore?
"Per quanto mi riguarda assolutamente sì.
Lavorare col pilota sulle singole curve per
massimizzare la performance è un lavoro
che si fa in qualunque campionato, ma qui
è maniacale. Si spezzetta ogni curva nelle
sue diverse fasi, e per ognuna di esse si cer-
ca di trovare l'approccio più redditizio. E lo
si fa con una differenza fondamentale
rispetto a GP2 eWSR: là i piloti sono pagan-
ti, quindi c'è un limite a ciò che si può chie-
dere loro, perché alla fine si tratta di clien-
ti che vanno trattati come tali, in certi casi
assecondandoli anche quando è contropro-
ducente per le prestazioni. Nel DTM invece
i piloti sono professionisti pagati per corre-
re, quindi le esigenze del teamhanno la pre-
cedenza: se una certa scelta di assetto o l'ap-
proccio a una tal curva sono vantaggiosi in
termini di tempo, il pilota deve accettarli
anche se vanno contro a quello che sarebbe
il suo approccio istintivo. Questo non signi-
fica che siano 'alla nostra mercé', perché in
realtà si cerca sempre di andare incontro al
proprio pilota. Ogni ingegnere conosce i
punti forti così come i limiti del proprio
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