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RALLY

IL FATTO

CRESCERE È PO

Tranne qualche rara eccezione i piloti italiani stanno scomparendo

dall’elenco iscritti delle gare internazionali. Eppure gli esempi di realtà straniere

dimostrano che sono percorribili diversi percorsi di formazione

Guido Rancati

Non ci piove: nascere in una nazione nella

quale opera un grande costruttore che cre-

de nelle corse aiuta. Ma non è tutto. E

soprattutto non può essere un alibi al qua-

le aggrapparsi per giustificare il progressi-

vo impoverimento di tutto un movimento.

A dirlo è la storia dei rally con le centoset-

tantadue vittorie rastrellate fin qui dai fin-

landesi nel mondiale, quattro più dei fran-

cesi malgrado i settantotto ori collezionati

da Sébastien Loeb e i ventitré di Sébastien

Ogier. Ma anche il terzo posto tuttora occu-

pato dagli svedesi che hanno vinto anche

dopo l'uscita di scena della Saab. L'elenco

è lungo e, fra gli altri, comprende pure i

norvegesi, gli estoni e i belgi, due volte sul-

l'attico del podio con due piloti diversi:

François Duval, primo nove anni fa in

Australia con una Citroen e Thierry Neuvil-

le, primo quest'anno in Germania con la

Hyundai.

Sono tanti, quelli che in quarantun anni ce

l'hanno fatta ad arrampicarsi sull'attico di

un podio. E hanno storie diverse: alcuni

sono emersi grazie alla fiducia accordata

loro da una Casa nazionale, altri hanno

usufruito dell'appoggio delle rispettive

federazioni, altri ancora di uomini d'affari

disposti a investire su di loro cifre impor-

tanti. Qualcuno c'è riuscito battendosi e

sbattendosi quasi solo con le proprie forze.

Tutti hanno però seguito un percorso logi-

co. Quello che da anni, per un verso o per

l'altro, nessun pilota italiano è stato in gra-

do di fare. Nel Bel Paese si naviga ormai

solo a vista. Anche se farlo è il modo più

sicuro per non andare da nessuna parte.