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Dopo decenni di assenza dal grande Circus, l'America si appresta a
tornare in Formula 1 con il team messo in piedi da Haas insieme a
Steiner. Scopriamo perché il nuovo progetto ha tutte le carte in
regola per fare bene nel mondiale
Il sogno
americano
Silvano Taormina
Formula 1 e Stati Uniti d'America. Due entità distanti, talvolta lontane anni luce, che mai sono
riuscite a far breccia l'un l'altra e viaggiare sullo stesso sentiero. Due modi di intendere le corse
diametralmente opposti. Da una parte la sfida tecnica, l'innovazione a quattro ruote, la ricerca
del dettaglio in grado di far la differenza e prevalere su avversari e scuole diverse. Dall'altra lo
spettacolo, quello puro, a tutti i costi. Indipendentemente dal mezzo che si conduce. Eppure
qualche rappresentante del Nuovo Mondo ci ha provato a sfidare i rivali del Vecchio Conti-
nente. Senza risultati degni di nota, in ogni caso. Fatta eccezione per il team di Roger Penske,
vincitore nel GP d'Austria nel 1976 con John Watson, nessuna compagine statunitense ha la-
sciato il segno in Formula 1. Tentativi come quelli della Scarabs, della Eagle o del Vel's Parnelli
Jones Racing tra gli anni Sessanta e Settanta hanno avuto vita breve. Per non parlare poi della
Beatrice nella metà degli anni Ottanta, che vide coinvolto l’omonimo Carl Haas, mentre in tempi
più recenti del progetto USF1 di Ken Anderson, abortito ancora prima di vedere la luce. Ad
oggi, però, c'è un team che giorno dopo giorno sta prendendo forma poggiando su basi ben
più solide. Questo risponde al nome di Haas F1 Team e, pur non avendo ancora ufficializzato il
proprio ingresso, dal prossimo anno riporterà la bandiera a stelle e strisce sulla griglia di par-
tenza di un Gran Premio.