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GP ABU DHABI
Ferrari
Stefano Semeraro
Il sorpasso secco, spietato, senza replica a Verstappen, poi quella rincorsa pazza alle
Mercedes, il sogno del box che lo incitava urlando nella radio: «spingi Seb, spingi,
che possiamo farcela...», infine il podio ritrovato dopo un digiuno che durava da
Monza. La gara di Vettel ad Abu Dhabi, specie quegli ultimi 18 giri sulle supersoft, è
stata insieme bella e disperata, il tentativo di tirare un sacco di vernice su una sta-
gione finita in bianco: 0 vittorie, come nel 2014 («ma per favore non facciamo para-
goni con quella stagione», implora Maurizio Arrivabene), 11 podi che non fanno
neppure un contentino. E quel 'zero tituli' in stile Mourinho che i tifosi della Rossa si
sentono rimbalzare in mente da tanti, troppi anni. La Ferrari ha fallito, e bisogna dare
atto a Sergio Marchionne di averlo ammesso già da tempo senza se e senza ma. Il
2015 aveva illuso, il 2016 è stato un passo indietro, forse due. Nel mirino c'era una
battaglia serrata con la Mercedes in entrambi i campionati, invece Vettel è finito
quarto, giù dal podio, e la Ferrari terza dietro anche alla Red Bull nella classifica co-
struttori.
Avanti col lavoro
e niente slogan
Non è servito – per ora - rivoluzionare la squadra, mettersi alla spalle il rapporto con
Alonso e ingaggiare il quattro volte campione del mondo Vettel. Il licenziamento in
corso d'opera di James Allison, con la promozione di Matteo Binotto, era già una
mossa in prospettiva 2017, figlia del decisionismo impaziente di Marchionne; forse
ora a bocce ferme salteranno altre teste (il capo dei meccanici? Lo stesso Arriva-
bene?). Ma non è né con l'immobilismo né con la frenesia che si vince in F.1. Servono
anni di lavoro, non slogan. Programmazione e continuità, non improvvisazione. Non
basta il colpo di genio, serve una struttura, la capacità di investire sulle persone giu-
ste. Il modo in cui è stata gestita la Drivers Academy – senza crederci troppo, por-
tandola avanti più per copiare analoghe iniziative che per assicurarsi davvero un
futuro – è l'esempio di come le cose non vanno fatte. I cicli della Rossa ai tempi di
Schumacher e della Mercedes adesso sono figli di anni di preparazione, non di una
velleità di successo estemporanea.
Raikkonen
realista
«La nostra non è stata certo una stagiona all'altezza della Ferrari», ha riconosciuto
Raikkonen mettendo il dito sulla piaga, «anche se io io personalmente sono andato
meglio che nelle scorse due stagioni». In qualche dettaglio si sono visti spiragli, è
mancato il collante capace di tenere insieme ambizioni e azioni. Secondo Vettel il
podio «è stato il premio per tutta la squadra, che ha lavorato duro subendo tante
critiche». Per Arrivabene, «un modo degno di chiudere la stagione», per Piero Ferrari,
«il modo migliore per cominciare l'assalto della prossima stagione». Da Maranello,
dove la macchina 2017 è in progettazione da mesi, pare arrivino dati incoraggianti,
ma è una storia che sentiamo ripetere ormai da un decennio. La rincorsa e i sorpassi
di Vettel sono stati entusiasmanti, ma guai a dimenticare che vicino alle Mercedes
Seb ci è arrivato solo perché Hamilton ha deciso di fare il tappo. Poi a loro è rimasto
lo Champagne. Alla Ferrari solo un po' di bollicine.
«Non amo fare paragoni con altre
stagioni, non ci stanno minimamente.
Chiudere la stagione con un podio
ha significato chiuderla degnamente».
Maurizio Arrivabene