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INDYCAR

Il fatto

Effetto

domino

L’onda d’urto scatenata da Alonso si fa già sentire nella

serie americana inserendosi in un discorso ben avviato

che, a piccoli passi, vede l’IndyCar continuare a

recuperare quote nel mondo del motorsport americano

Marco Cortesi

Momento di grazia quello che sta vivendo l’Indycar. La ca-

tegoria diretta da Mark Miles ha incassato la decisione da

parte di Fernando Alonso di partecipare alla 500 Miglia di

Indianapolis, scatenando una serie di reazioni positive di

piloti che sono di colpo tornati ad essere interessati alle

monoposto. Ci vuole molto poco per far diventare “di

moda” un campionato e, in aggiunta al trend positivo degli

ultimi anni, l’Indycar sta sicuramente crescendo quanto a

riconoscimento. I nuovi aerokit unici ridurranno i costi

quanto basta l’anno prossimo, introducendo soprattutto

un’estetica di sicuro impatto visivo e dal fascino Vintage. Il

mirino è sempre verso la Nascar, e se è vero che la serie

Stock-Car continua ad avere numeri non paragonabili alle

ruote scoperte, a farsi notare è proprio l’andamento gene-

rale. Verso il basso anche se non di molto quello della ca-

tegoria della famiglia France, che per ritrovare appeal con

gli sponsor, ha dovuto varare una serie di modifiche rego-

lamentari che hanno indignato i puristi.

La Indycar ha puntato

tutto sui piloti USA

Inoltre, tutta la generazione di piloti che aveva accompagnato

il boom della categoria Nascar, sta appendendo progressi-

vamente il casco al chiodo. In questo senso, tutti gli occhi

sono su Dale Earnhardt Jr, che rappresenta per la Nascar lo

stesso valore che Valentino Rossi porta al motociclismo.

Come il centauro di Tavullia arrivato agli ultimi anni di carriera,

Earnhardt è veramente l’ago della bilancia, un nome su cui la

comunicazione ha calcato tantissimo la mano ed in più con

una delle maggiori eredità sportive (ed economiche) nella

storia dello sport. Da non sottovalutare anche la spinta del-

l’Indycar a puntare tutto sui piloti americani. Una scelta che

è costata delle chance ai piloti europei (e italiani) ma che,

senza nascondersi dietro un dito, sta pagando anche perché

messa in atto in modo molto più naturale e personale.

Il fattore Alonso

rilancia altri protagonisti…

Se in Nascar il marketing si è appropriato di tutta la comu-

nicazione, trasformando i piloti in macchine commerciali

tutte un po’ appiattite sugli stereotipi, in Indycar si è avuta

mano un po’ più libera, creando simpatia genuina anche

grazie a caratteri “puliti” come quelli di Josef Newgarden,

Graham Rahal e Conor Daly, oltre agli “international” Will

Power, Simon Pagenaud aka Jean Girard, perché no, Ta-

kuma Sato. Il tutto con nomi storici come quelli di Scott

Dixon, Helio Castroneves e Tony Kanaan che riportano agli

anni 90 e 2000. Comunque l’impatto del fattore-Alonso si

è già sentito, risvegliando alcuni nomi che si erano un po’

raffreddati. A partire da quello di Kyle Larson, stella na-

scente NASCAR ed interessato, anche in virtù dei suoi tra-

scorsi in midget, ad imporre a Chip Ganassi (suo boss

anche in Monster Cup) di farlo partecipare, magari già

l’anno prossimo. Con un nome così importante, non ci sa-

rebbe limite alla fantasia e si rischierebbe davvero di far

tornare l’Indycar, almeno in qualche gara o alla 500 Miglia,

un palcoscenico in grado di collegare mondi e modi di cor-

rere diversi.