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solo essere un pilota di F.1 e non credevo
affatto che avrei potuto riuscire a farlo con
laMcLaren, visti i piloti titolari che avevano
in quel momento (Hakkinen e Coulthard,
ndr). Fu un errore. Sarei dovuto restare
un'altro anno o due, e lasciare che Dennis
mi infilasse dentro a forza quelle caratteri-
stiche che mi mancavano, anche a martel-
late se necessario".
GLI ANNI ALLA STEWART
PIENI DI FRUSTRAZIONE
"Il problema più grosso era che non riusci-
vo a fare abbastanza chilometri con la mac-
china, si rompeva in continuazione. Abbia-
mo avuto moltissimi cedimenti meccanici.
Ricordo che uscivo dalla macchina e mi
sedevo da una parte, a guardarla fumare.
Ed è successo troppe volte".
IL PROGRAMMA
GIOVANI MCLAREN
"Oggi è molto diverso dai miei tempi. Han-
no un programma fantastico di cui Kevin
ha approfittato. Si è sentito fin da subito
parte della squadra e ha avuto a disposizio-
ne un gruppo di professionisti veri a sua
disposizione. Per ogni domanda che aves-
se, c'era una persona deputata a cui poteva
chiedere che era pronta a rispondergli. Ai
miei tempi non c'era niente di tutto questo,
niente coach o programmi di crescita. C'ero
solo io e si aspettavano che capissi tutto da
solo".
IL TALENTO
DI KEVIN
"Aveva due anni la prima volta che gli ho
messo in mano il volante, forse meno, ho
visto subito che aveva qualcosa di speciale.
E non gli è mai interessato nessun altro
sport, ha sempre voluto diventare un pilota
di F.1 e nient'altro".
IL RAPPORTO
COL FIGLIO
"Anche quando era molto giovane, non gli
ho mai detto 'fai la curva così' o 'frena in
quel punto'. So per esperienza che per un
ragazzo non è sempre facile accettare
consigli dal padre e di conseguenza,
quando Kevin era adolescente, se avevo
qualche buon suggerimento per lui glielo
facevo recapitare tramite qualcun altro,
in modo che gli arrivasse 'dalla porta di
servizio'".
IL SUO FUTURO
PILOTA, MANAGER O PAPÀ?
"A causa dei miei impegni in pista con Cor-
vette non potrò essere presente al debutto
in gara di Kevin in Australia, ma riuscirò a
essere presente circa alla metà dei GP. Ora
che mio figlio è arrivato in F.1, ho pensato
molto a quello che farò da ora in poi. Devo
decidere se potrò concentrami ancora sulla
mia carriera di pilota o se sarà il caso di
lasciarla per seguire Kevin. In ogni caso
non voglio essere il suo manager, solo suo
padre. Negli ultimi due, tre anni ci siamo
avvicinati moltissimo e voglio semplice-
mente essere un buon papà, essere con lui
quando ci sarà da festeggiare, ma anche
stargli vicino quando le cose andranno
male. Del resto mi devo rassegnare: prima
per tutti lui era il figlio di Jan Magnussen,
ora sono io ad essere il papà di Kevin
Magnussen".
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