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Nel 1972, con l’ormai superata M19, Rev-
son colleziona quattro podi, raccogliendo
un’ottimo quinto posto nel Mondiale. L’an-
no successivo, il 1973, con la nuova M23, è
quello della consacrazione. E’ di nuovo
quinto ma soprattutto, firma le sue prime
(ed uniche) due vittorie in Formula 1. A Sil-
verstone, nel GP passato alla storia per la
carambola iniziale innescata da Scheckter,
è bravissimo a rimontare tutti sotto l’acqua.
In Canada, si ripete ma è il primo ad
ammettere che si tratta di un regalo: il GP
termina nel caos per un improvviso
acquazzone, fra fermate ai box, uscite di
pista e la pace-car (come si chiamava allo-
ra) che sbaglia l’entrata in pista. A quei
tempi, senza cronometraggio elettronico,
ricostruire la verità è una scommessa. Rev-
son viene dato primo davanti a Fittipaldi e
Oliver, riconosciuto anni dopo come il ‘pro-
babile’ vero vincitore.
Revson non gode anche perchè, da uomo
d’un pezzo, gli brucia il benservito datogli
dall’amico Mayer qualche settimana pri-
ma, nonostante i buoni risultati e il fatto
che, indirettamente, avesse portato la Yar-
dley (una concorrente della ... Revlon)
come sponsor. Ma sono in arrivo Marlboro
e Texaco, con tanti dollari, e vogliono Fit-
tipaldi; a Revson viene offerta solo una ter-
za macchina, gestita da un team McLaren-
bis... “Teddy mi ha scaricato” è il laconico
commento di ‘Revvie’, che riparte però con
più grinta, in una nuova sfida: portare al
top in F.1 una macchina americana, la
UOP-Shadow tutta nera dell’eccentrico
Don Nichols.
Il debutto è incoraggiante: Revson è in
seconda fila nei due primi GP, ma durante
le pre-prove della terza gara, a Kyalami, lo
aspetta il destino. Si rompe una sospensio-
ne anteriore e la DN3 s’incastra nel guard-
rail, ribaltandosi e incendiandosi, nella
velocissima curva cinicamente denomina-
ta Barbecue. Viste oggi, le immagini della
tragedia lasciano interdetti: un semplice
guard-rail malandato, soccorritori in cal-
zoncini corti e maglietta, niente estintori,
Graham Hill e altri piloti che cercano di
liberare Revson dai rottami fumanti... Per
Peter, che ha da poco compiuto 35 anni, è
finita. Ancor oggi, Tony Southgate, l’allora
giovane progettista che disegnò la Shadow
DN3, non si dà pace: “Fummo tra i primis-
simi ad usare titanio per alcune parti come
le sospensioni. Era un materiale abbastan-
za nuovo per quei tempi, che andava for-
giato con molta cura. Si ruppe un giunto
sferico, scoprimmo dopo che c’era un difet-
to nella lavorazione. Ho sempre sentito il
peso di quanto è successo...”
Poche settimane dopo la scomparsa di
Peter, Marjorie Wallace, una stupenda
ragazza bionda e Miss Mondo 1973, viene
salvata in extremis dopo aver ingerito un
tubo intero di barbiturici. Era la fidanzata
di Peter, si erano conosciuti pochi mesi pri-
ma e avevano già programmato le nozze.
Una storia seria, che vissero quasi in segre-
to per non alimentare i rotocalchi. Jochen
Mass, che fu amico di Revson, dice: “Non
c’era cosa che facesse imbestialire di più
Peter che sentirsi mettere addosso l’eti-
chetta di figlio di papà, ricco erede e play-
boy. Cose che in apparenza potevano esse-
re vere ma che nascondevano la sua vera
sostanza: fu un uomo che lottò molto per
ottenere ciò che perseguiva, un pilota che
lavorò sodo per entrare nel club dei gran-
di, e un bellissimo esempio di dignità.”
E’ proprio questo, la dignità, che traspare
in una frase di ‘Racing with Style’, forse una
delle più belle autobiografie da corsa, che
Revson scrisse a quattro mani con Leon
Mandel e ultimò pochi giorni prima di
morire: “Ai tempi in cui correvo senza
grande successo, senza venir riconosciuto
né sostenuto, mi sono detto spesso che se
avessi perseverato, ce l’avrei fatta. Non
sapevo quanta perseveranza ci sarebbe
voluto, ma era l’approccio giusto. C’ho
messo 14 anni a vincere un GP, ma ce l’ho
fatta”.
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