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Carlo Baffi
Siamo nei primi anni ’60 e la Ferrari è ormai
una scuderia ai vertici dell’automobilismo
mondiale: dalla Formula Uno alle gare endu-
rance. Il Cavallino trionfa ripetutamente alla
24 Ore di Le Mans e alla 12 Ore di Sebring.
Ed è proprio dopo l’affermazione nella cele-
bre gara di durata americana, cheHenryFord
scrive una lettera a Ferrari, in cui gli chiede
come faccia la “rossa” ad avere tanti titoli sui
giornali americani dopo il trionfo a Sebring.
Per avere gli stessi spazi, il costruttore ame-
ricano deve spendere migliaia di dollari. Il
Drake affida la risposta aRomoloTavoni (d.s.
del Cavallino), al quale suggerisce di scrive-
re:” Caro signor Ford, sinceramente non so
perché mai la stampa americana si interessi
tanto alle mie macchine e alle loro vittorie. Io
penso che la spiegazione più facile lei la pos-
sa trovare comprando una Ferrari.” Un’altra
manovra di avvicinamento al colosso di
Detroit, ha luogo quando il Commendatore
acquista la sede della filiale Ford a Bologna.
Immobile che poi rivenderà guadagnandoci
circa trenta milioni. Un affare effettuato gra-
zie all’aiuto dell’ex pilota Cesare Perdisa e che
adettadi alcuni giornalisti conferma la volon-
tà del Cavallino di lasciare Modena e Mara-
nello per il capoluogo emiliano. La verità è
però un’altra. Lo scopo di Ferrari è quello di
far filtrare un suo ipotetico interesse a vende-
re l’azienda. Ma perché cedere il timone pro-
prio in un momento contrassegnato da gran-
di successi sportivi? In realtà Ferrari, consa-
pevole del miracolo realizzato, si rende conto
che per via dell’evoluzione in atto nell’indu-
stria automobilistica, sarà sempre più diffici-
le difendere la propria indipendenza. La pro-
duzione di auto stradali richiede l’impiego di
grossi capitali e per un piccolo costruttore di
provincia come lui è inevitabile appoggiarsi a
spalle forti per non soccombere e potersi così
occupare solo di corse, la sua vera vocazione.
Ferrari inizia quindi a sondare il mercato, ma
facendo inmodo che siano gli altri a rivolger-
gli le offerte. E sarà proprio la Ford la prima
a farsi avanti. Il 10 aprile 1963, Filmer Para-
dise, capo della Ford Italia, chiama Maranel-
lo, parlando dapprima al telefono con Fran-
co Gozzi, prezioso braccio destro del Drake.
Ferrari simostra interessato e fissaper il gior-
no 12 un incontro in gran segreto nel vecchio
ufficio di Modena. Mister Paradise espone un
progetto di espansione del marchio USA in
Italia, che prevede la costruzione di una vet-
tura Gran Turismo destinata ad una fascia
medio-alta del mercato europeo. Una propo-
sta che in futuro potrebbe dar vita ad una col-
laborazione ben più ampia tra Ferrari e Ford.
Il Drakemostra la sua disponibilità per quan-
to concerne il settore industriale, per contro
pretende di avere piena autonomia nella
costruzione e gestione delle vetture da corsa.
A questo primo appuntamento fanno seguito
tre settimane di silenzi, dopodiché Henry
Ford II, nipote del fondatore, da il via al nego-
ziato. Il 15 maggio, giunge a Maranello una
delegazione di quattordici esperti dei vari set-
tori aziendali, guidati da Donald Frey: dal
campo amministrativo a quello tecnico, da
quello pubblicitario a quello legale. A ciascun
responsabile di Maranello viene affiancato il
corrispondente dirigente americano, al fine
di poter effettuare una dettagliata valutazio-
ne dell’intero quadro aziendale. Vengono
periziati anche macchinari, strutture e mate-
riali; le maestranze vengono conteggiate e
tradotte in valori di capitolato. La valutazio-
ne finale della Ferrari, ottenuta gratuitamen-
te e senza impegno, si aggira intorno a sei
miliardi e mezzo di vecchie lire. L’accordo
prevede la costituzione di due società, una
denominataFerrari-Ford che si occuperàdel-
la costruzione e dell’impiego di auto da cor-
sa, partecipata al 90% da Ferrari e per il
restante 10%dagli americani. La Ford-Ferra-
ri invece, dovrà produrre auto stradali ad alte
prestazioni e avrà un capitale per il 90% ver-
sato dalla Ford e per il 10%dalla Ferrari. Arri-
viamo così al 20 aprile, giorno in cui è in pro-
gramma la riunione decisiva tra le parti, dove
all’ordine del giorno è prevista la lettura e la
ratifica di ogni punto del contratto, scritto in
inglese e tradotto in italiano. Tutto procede
secondo copione, quando si arriva al docu-
mento n°17, ovvero quello che riguarda le
spese del reparto corse. Ferrari si sofferma su
una clausola che prevede un’autorizzazione
da Detroit qualora le spese superino il budget
consentito. Chiede quale sia questo limite; la
risposta è: diecimila dollari. Il Drake allora
replica che con quella cifra in Formula Uno si
combinabenpoco e l’attesadel benestare dal-
la casa madre, significherebbe perdere terre-
no nei confronti della concorrenza. Immedia-
ta la replica di Paradise:” Ma signor Ferrari,
lei sta vendendo l’azienda e non può chiede-
re di continuare a comandare.” Una battuta
logica, ma che manda su tutte le furie il Com-
mendatore: “Dov’è la libertà che ho preteso
fin dall’inizio di fare i programmi, scegliere
uomini e decidere mezzi economici?” Ne
segue una sfuriata, ricca anche di improperi
in dialetto modenese, in cui Ferrari esterna
tutta la sua delusione: si sente tradito e
imbrogliato. Finito il sermone (ai confini del-
la sceneggiata) davanti ai dirigenti più spa-
ventati, che intimiditi, come racconterà in
seguito Gozzi, il Drake abbandona la riunio-
ne, per recarsi a cena col suo staff al “Caval-
lino”. Ferrari sarà di ritorno verso le 10 di
sera, ribadendo alla controparte che non
avrebbe mai firmato un contratto con quella
clausola. Quel rifiuto non sarà digerito facil-
mente dalla Ford, che da quel momento
dichiara guerra al Cavallino, varando un pro-
gramma sportivo col solo obiettivo di battere
il “nemico” italiano. Un conflitto che sarà vin-
to dal colosso americano, ma solo dopo qual-
che stagione e con un enorme dispendio
finanziario. Ferrari invece continua sondare
il terreno e nel luglio del 1964, incontra Giu-
seppe Luraghi, presidente dell’Alfa Romeo.
Sarebbe un ritorno alle origini, dopo 24 anni
di lontananza, ma tutto si conclude in un nul-
la di fatto. Si giunge così al gennaio 1965,
quando Gaudenzio Bono, presidente della
Fiat, varca i cancelli di Maranello. A Torino,
l’avvocato Gianni Agnelli non era rimasto
insensibile al messaggio lanciato dal Com-
mendatore. Ha così inizio il primo atto di un
processo di avvicinamento che dopo lunghe
trattative (guarda caso le cifre orbiteranno
intorno ai 6,5 miliardi), il 21 giugno del ’69
culminerà con l’ingresso ufficiale della Fiat
nell’assetto azionario del Cavallino. Tra Fer-
rari e Ford, sorgeranno nuovi attriti molti
anni più tardi e precisamente nel febbraio
2011, quando il costruttore americano accu-
serà Maranello di aver copiato il nome di un
suo pick-up di successo, l’F-150. Nel mirino
c’è la sigla attribuita alla nuova monoposto
di F.1, denominata F150, in quanto celebra i
150 anni dell’Unità d’Italia. Una controversia
che alla fine costringerà i vertici della rossa ad
utilizzare la denominazione completa di
“F150th Italia”. Forse una piccola rivincita di
Detroit.
Maranello, 20 maggio 1963. Al termine di una riunione burrascosa,
Enzo Ferrari liquida i dirigenti della Ford, mandando a monte un accordo giunto ormai in dirittura d’arrivo.
Un colpo di scena dell’ultim’ora che apparentemente ha dell’inspiegabile, ma che induce a chiedersi
se dietro a questa mossa si celi una strategia architettata dal Drake
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