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SPECIALE
IL CUORE NELLE CORSE - 5A PUNTATA
provvederà l’azienda o il cliente, l’interesse
personale o l’opportunità alla specializza-
zione e all’approfondimento».
Proviamo a entrare nel sancta san-
ctorum della progettazione: quali
sono oggi gli strumenti di lavoro?
Newey sostiene di usare ancora carta
e rapidograph...
«Lo strumento di lavoro principale per un
progettista è la mente e la materia prima
che la mente divora è il tempo. La parola
“progetto” deriva da “pro-icio” e letteral-
mente significa gettare davanti a sé l’idea,
lasciarla vivere di vita propria, accessibile
ai miglioramenti e alle critiche degli altri.
La parola “proiezione” nella terminologia
della psicologia, e “proiettore” nel linguag-
gio cinematografico sono termini rifletto-
no questo significato originario. Tanti ladri
di tempo in qualche modo ci “uccidono”
con riunioni prolisse e comunicazioni sen-
za sostanza. Il tempo ben impiegato è sia
la riflessione personale, sia la comunica-
zione costruttiva sia l’atto pratico di fare le
cose insieme: per un bravo progettista, chi
proietta idee valide e riconosciute eccel-
lenti dai colleghi, le tre declinazioni del
tempo sono altrettanto importanti e non
richiedono strumenti particolarmente
sofisticati; per un mediocre progettista
l’attenzione si concentra sullo strumento,
cioè sulla velocità della scheda grafica,
sull’ergonomia del mouse o la dimensione
dello schermo per cui è spesso insoddisfat-
to nelle sue pretese».
Immaginiamo insieme di aver
davanti un progetto nuovo: qual è il
primo passo? Si tratta di un lavoro di
Equipe o c’è ancora il “genio” che dal
nulla immagina e disegna la vettura?
«La risposta ovvia è che la complessità dei
progetti dei moderni veicoli da competizio-
ne, della loro tecnologia e dei regolamenti
che li vincolano, richiede un lavoro di squa-
dra perché per ottenere la massima presta-
zione sono necessarie competenze specifi-
che ed eccellenti. Io penso però che alla fine
il risultato finale dipenda da poche persone
valide al posto giusto con le idee e le moti-
vazioni giuste: i molti non desiderano nè
sopportano il peso delle responsabilità e
danno il meglio di sé nell’eseguire bene
quello che è stato pensato da altri: c’è biso-
gno sia degli uni sia degli altri.
Non ho mai incontrato nella mia professio-
ne “geni” che tirano fuori idee dal nulla, ma
ho incontrato alcune persone che fanno
tesoro della propria e della altrui esperien-
za per rielaborare uguali principi in nuove
idee semplificando, sprecandomeno e con-
densando più funzioni necessarie nello
stesso componente».
Come bisogna invece impostare il
rapporto con i piloti, che prima anco-
ra di gareggiare in pista testano le
vetture: che tipo di aiuto un ingegne-
re si può, o si deve (o si dovrebbe…)
aspettare da loro?
«L’uomo è la misura di tutte le cose” ci
ricorda Protagora attraverso i secoli e oggi
il concetto ritorna rivestito nell’espressione
inglese “Human in the loop”. Il pilota è il
cuore dell’intero sistema e, come in un ate-
lier di alta sartoria artigianale, il veicolo da
competizione è pensato e realizzato in fun-
zione dello specifico pilota per assecondare
le sue preferenze in modo che possa rag-
giungere la massima prestazione. Se l’uo-
mo-pilota è al centro e se il pilota è giudice
ultimo anche se soggettivo di una direzione
tecnica, il pilota ha quindi una grandissima
responsabilità cioè risponde del successo e
dell’insuccesso. Se il pilota è fragile di
carattere e di età, insicuro, impreparato o
peggio incapace, le migliori organizzazioni,
le migliori idee e i migliori progettisti non
possono nulla e l’insuccesso diventa la nor-
ma. Impostare il rapporto con i piloti signi-
fica definire con chiarezza ed in anticipo le
responsabilità di ciascuno e pretendere in
cambio un corretto rapporto del pilota con
tutti gli altri membri del team».
Oltre alla competenza tecnica il pro-
gettista ha sempre anche una
responsabilità morale, quella di pre-
occuparsi della sicurezza di chi corre
in pista: a che tipo di dilemmi ci si
può trovare di fronte?
«Uno dei corsi di Ingegneria è “Etica della
Professione dell’Ingegnere”: è interessan-
tissimo e cerca di far riflettere sulla
domanda: “tutto ciò che è tecnicamente
possibile è eticamente lecito”? Ci sono due
aspetti da considerare: il primo principio
etico è l’alterità, cioè considerare l’altro e
mantenere con lui una relazione; il secon-
do principio etico è la storia, per cui il leci-
to è una funzione dinamica che varia nel
tempo. I dilemmi che l’ingegnere affronta
sono semplici ma ineludibili alla coscien-
za: se il capo definisce che la priorità è vin-
cere a qualunque costo, allora l’insuffi-
ciente sicurezza, il non rispetto dei rego-
lamenti e degli avversari è un costo in
subordine e vincere è il giusto; ogni indi-
viduo poi si adegua per convinzione o
necessità, si allontana o si ribella ! Prima
o poi ciascuno dà la propria risposta.
Quante volte abbiamo letto di manager
che hanno compiuto reati verso la società
ma hanno fatto ciò per il bene dell’azien-
da?»
Una riflessione, la tua, giusta e insie-
me inquietante, che giro ai nostri let-
tori. Per chiudere: ci sono progettisti
illustri, tra cui lo stesso Newey, che
hanno anche un’esperienza da piloti:
quanto può aiutare nella progetta-
zione?
«Abbiamo ricordato in un’altra puntata
Mark Donohue in Penske e John Miles in
Lotus. Ci sono numerosi esempi in tante
categorie: l’ingegnere di pista di Dario
Franchitti nella Indycar è stato un brillante
pilota della Indy Lights. L’ingegnere con
esperienza di pilotaggio è facilitato nel
capire il linguaggio del pilota e in caso di
necessità può prendere casco, tuta e guanti
e scendere in pista o guidare al simulatore
per rendersi conto della situazione; per
questo motivo suggerisco che i giovani
ingegneri del settore frequentino almeno
uno o due corsi di pilotaggio di base ed in
Italia posso raccomandare i corsi di Henry
Morrogh».
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