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FORMULA 1
ADRIAN NEWEY
Lei è nel motorsport da circa 30
anni. Che cosa le hanno insegnato
tutte queste stagioni?
«Che la Formula 1 è un lavoro duro! (ride).
Mi piace pensare di non essere cambiato
tanto in questi anni, che la Formula 1 non
ha cambiato la mia personalità, se voglia-
mo. Se ripenso agli anni dell'università,
mi ricordo che la maggior parte dei miei
compagni sognavano di progettare aerei,
mentre io ho sempre voluto essere un pro-
gettista di automobili. Loro hanno poi
lavorato a progetti nei quali potevano
vedere il risultato del loro lavoro dopo 10,
15 anni, quando l'indicazione se il loro
lavoro era stato buono, cattivo o inin-
fluente era ormai lontana anni luce. Que-
sto non faceva per me. La cosa eccitante
della Formula 1 è che ti dà un alto livello
di indicazioni. Ti senti male se hai sbaglia-
to, ma almeno lo sai. E poi c'è il tentativo
di rimanere al vertice anche nel cambia-
mento. Dopo la laurea andai direttamente
alla Fittipaldi - a quei tempi un piccolo
team di Formula 1 - dove fui assunto come
assistente aerodinamico, ma poi saltò fuo-
ri che ero il capo aerodinamico, perché ero
l'unico! Anche quando passai alla Leyton
Huse, un team dove lavoravano 55 perso-
ne, con sei ingegneri in totale e io che mi
occupavo dell'aerodinamica, di progettare
la macchina e costruirla, si trattava di una
piccola realtà. Oggi non è possibile capir-
lo. Oggi c'è la Red Bull Racing con 600
dipendenti, cento e più ingegneri - tutto à
diventato almeno dieci volte più grande.
Quindi restare al vertice nonostante i
cambiamenti tecnologici e gestuali è stata
una sfida eccitante. Per venire alla rispo-
sta su cosa ho imparato in questi anni:
rimanere fermi è mortale».
E' soddisfatto di se stesso? Si mette
a sedere in quei pochi momenti di
quiete e si dice 'tutto sommato,
niente male'?
«No, non mi fermo mai a riflettere su que-
ste cose. Cerco di curare i miei interessi,
certo, e i miei interessi sono di solito
anche la mia forza. Cerco di non parteci-
pare a troppe riunioni. Passo il 50 per cen-
to del mio tempo al tavolo di lavoro e il
resto insieme ai miei colleghi in fabbrica
per vedere cosa hanno trovato. Alle gare
ovviamente passo del tempo con i piloti e
questo mi da modo di sentirmi coinvolto
in differenti aspetti che mi stimolano mol-
to».
Si è posto una data di scadenza? Si è
mai detto 'ancora tre anni e posso
ritirarmi', ad esempio? O pensa mai
di dire a Chris Horner o a Helmut
Marko 'ragazzi, non aspettatemi in
ufficio oggi, e nemmeno domani'?
«Non sarebbe nel mio stile. Sono stato
coinvolto con la Red Bull Racing fin dal-
l'inizio, quindi sento un forte legame di
lealtà verso tutto lo staff. Non smetterei
mai senza aver dato a tutti un sufficiente
periodo di preavviso. Ma la verità vera è
che fino a quando continuerò a divertir-
mi, andrò avanti. Probabilmente il
momento in cui sono stato vicino a mol-
lare la Formula 1 è stato nel 2002. C'era
troppa politica - da parte della Ferrari e
della FIA - e fu veramente un momento
difficile».
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