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FORMULA 1
ADRIAN NEWEY
Lei è il progettista più di successo
nella F.1 degli ultimi anni. Nel 2014
dopo anni di evoluzioni ci sarà una
vera rivoluzione nei regolamenti:
lei partirà davvero da un foglio
bianco?
«La prima cosa da fare è leggere i regola-
menti in maniera molto, molto attenta.
Bisogna leggere cosa dicono in realtà, più
che quello che intendono dire, visto che le
due cose non sempre coincidono. Dopo di
che, li riduco in piccole sezioni. A quel
punto cerco di estrarre dai regolamenti i
pacchetti aerodinamici e meccanici che
rappresentano la miglior soluzione per
quelle aree. Ti inoltri un po' nelle singole
ricerche e a un certo punto vedi di rimet-
tere tutto insieme. Quello per me è il pun-
to importante, il prodotto finale deve esse-
re un tutt'uno, e non un insieme di pezzi
incollato insieme».
Quante persone sono coinvolte in
questo processo?
«Abbiamo oltre 100 ingegneri. Alla prima
idea chiave lavora un piccolo gruppo. Per
la RB10 abbiamo iniziato a dividere il
lavoro relativo all'avantreno e al retrotre-
no dal punto di vista aerodinamico, e alla
parte centrale intesa come pacchetto
motore-raffreddamento. Ecco, il raffred-
damento sarà un punto cruciale l'anno
prossimo».
Gli strumenti sono ancora vera-
mente un foglio di carta e una mati-
ta?
«Per un certo verso ancora sì. Mi sono lau-
reato nel 1980, molto prima che si parlas-
se di progettazione CAD! Così ho sempre
usato una tavola da disegno e non mi sono
mai preso il tempo necessario per studiare
la progettazione al computer (ride, ndr).
Il fatto è che noi essenzialmente usiamo
un linguaggio e alla fine, come nel parlare,
ti affidi a quello che conosci meglio. Amo
la tavola da disegno perché la maggior
parte del lavoro lo faccio con una scala al
50 per cento, in modo da avere pratica-
mente la macchina sotto i miei occhi,
mentre il CAD ti limita all'ampiezza dello
schermo. Detto questo sarebbe troppo
faticoso per una struttura come la nostra
avere troppa gente che lavora attorno ad
un tavolo da disegno, perché in ultima
istanza tutto deve passare attraverso il
CAD per essere costruito».
Il team principal della Red Bull,
Chris Horner, sostiene che lei è
completamente pazzo e non ha pau-
ra di nulla. Ci vogliono queste doti
per costruire le macchine vincenti
degli ultimi anni e per accettare la
nuova sfida del 2014, un anno nel
quale la Red Bull ha oggettivamente
tutto da perdere?
«Non ne sono sicuro. Credo che si tratti
meno di pazzia, ma del fatto di essere fidu-
ciosi che la strada che hai imboccato sia
quella buona. Devi metterci insieme pas-
sione e la convinzione di essere nel giusto.
Lo si potrebbe chiamare il 'lato artistico'
della faccenda, ma alla fine devi fare un
passo indietro e cercare di essere oggetti-
vo: sto facendo davvero la cosa giusta? Se
la risposta è 'no', devi essere pronto a deci-
dere che il lavoro dell'ultima ora, dell'ul-
timo giorno, dell'ultima settimana finirà
nel cestino».
Il processo di progettazione negli
altri team probabilmente non è così
diverso, cosa è dunque che fa la dif-
ferenza? Lei sente una 'voce interio-
re' che le dice che cosa è giusto e che
cosa sbagliato?
«No, nessuna voce interiore. La chiamo la
'regola delle 24 ore'. Sembra ancora una
buona idea 24 ore dopo? Questo decide se
andare avanti o tirarci una croce sopra. In
realtà sviluppi una sensibilità per una pro-
cedura del genere. Il cervello è una cosa
sorprendente. Magari stai facendo qual-
cosa di completamente diverso, ad esem-
pio preparare una tazza di tè, e improvvi-
samente capisci se stai facendo la cosa
giusta o quella sbagliata».
Lei ha progettato così tante vetture
che hanno dato la possibilità di vin-
cere a piloti oggi entrati nella leg-
genda: Nigel Mansell, Ayrton Sen-
na, Alain Prost, Mika Hakkinen e
ora Sebastian Vettel. Nel farlo pren-
deva in considerazione i loro pregi e
i loro difetti?
«Quando ero un giovane progettista,
Robin Herd se ne venne fuori con una
March che era stata progettata attorno
alle caratteristiche di Ronnie Peterson.
Onestamente non so dire se ho mai
coscientemente pensato a fare una cosa
del genere, progettare una vettura sul-
l'idea di quale siano le caratteristiche di
un pilota».
Quindi non è mai stata la monopo-
sto di Mansell, di Prost o di Vettel,
ma quella di Adrian Newey…
«Be', ciò che succede è che quando lavori
con continuità con gli stessi piloti, come è
accaduto a noi negli ultimi cinque anni
con Sebastian Vettel e MarkWebber, è che
ascolti le loro impressioni e l'evoluzione
della macchina è almeno in parte il risul-
tato di questi suggerimenti. Questo sì, suc-
cede».
Quando ripensa a quei nomi - Sen-
na, Prost, Mansell, eccetera - a che
livello mette Vettel? Qual è la sua
classifica personale?
«Sarebbe ingiusto fare una classifica, met-
tere uno prima dell'altro, ma quello che
posso dire è che Sebastian, senza il mini-
mo dubbio, è uno dei grandi. I grandi piloti
con cui ho avuto la fortuna di lavorare ave-
vano in comune una cosa, l'intelligenza. La
capacità di guidare la macchina e di man-
tenere allo stesso tempo una residua capa-
cità mentale per capire cosa stavano facen-
do, e poi la capacità di ricordarselo una
volta che ne erano scesi. Potevano rivivere
nella loro testa quello che avevano appena
sperimentato e combinarlo con la profes-
sionalità necessaria parlarne con gli inge-
gneri».
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