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FORMULA 1
MICHAEL SCHUMACHER
Il resto è noto. I due titoli mondiali
alla Benetton, l'epopea in rosso, il
mesto ritorno nel Circus con la Mer-
cedes a 41 anni suonati, la Casa che lo
aveva lanciato, fra il 2010 e il 2012, tre
anni e un solo podio, una sola pole a
Monte Carlo per altro cancellata. «Ma
perché lo fa, perché continua?».
Risposta: per 30 milioni di ottime
ragioni in euro (che fecero infuriare i
sindacati di Stoccarda) e per il motivo
che Edmund Mallory, il grande scala-
tore, illustrava a chi gli chiedeva per-
ché volesse scalare l'Everest: «Perchè
è lì».
AMaranello, in Italia, arrivò damezzo
nemico, poi è stato ammirato, accla-
mato, rimpianto, mai veramente
amato. Perché nonostante gli anni
passati in Ferrari faticava a parlare in
italiano («se sbaglio una parola tutti
fraintendono, così continuo con l'in-
glese»), perché ogni tanto si concede-
va una birra nel motorhome rivale
della McLaren-Mercedes, per brinda-
re con il suo vecchio amico Norbert
Haug. Perché nonostante le vittorie
regalate rimaneva uno straniero, un
dolce invasore che preferiva vivere in
Svizzera, dove poteva blindare la sua
vita privata, la sua famiglia. L'«altro»
Schumacher.
«In Italia tifano per te solo se indossi
la tuta della Ferrari», ha detto qualche
tempo fa per spiegare i fischi rimedia-
ti da Sebastian Vettel a Monza, non
senza qualche ragione. Lo abbiamo
esaltato senza mai veramente capirlo,
Schumi; incapaci di andare oltre la
tuta invisibile che indossava sopra
quella rosso fiammante o argentata
del pilota. Ci sembrava un Termina-
tor, e allora faticavamo a capire l'ira
funesta che lo prendeva quando le
cose si mettevano su un binario storto
e l'ingranaggio tedesco sbroccava in
pista e fuori: nel famoso speronamen-
to a Jacques Villeneuve che nel 1997
gli costò tutti i punti nel Mondiale;
nella passione cieca per le moto che
gli costò serie ammaccature nella
Superbike tedesca; in quella adole-
scenziale per lo sci e per il calcio che
gli faceva rischiare ossa e cartilagini (e
che alla fine gli è costata cara) e man-
dava in fibrillazione i suoi datori di
lavoro. «Michael non è affatto il robot
fortissimo che molti dipingono», ha
spiegato una volta Jean Todt, forse
l'amico che lo conoscemeglio. «E' una
persona fragile, molto sensibile, che si
apre con qualcuno solo quando ha
capito che può fidarsi davvero, perché
vuole proteggersi». Un papà che ama-
va cambiare i pannolini a Gina Maria
e a Mick, i suoi due figli, e che degli
oltre 550milioni di dollari incassati in
carriera ne ha devoluti almeno 50 in
beneficenza: senza dirlo troppo in
giro, senza fare troppo rumore. E'
sopravvissuto al botto tremendo di
Silverstone, nel '99, e il suo fuoripista
più doloroso l'ha incontrato sugli sci.
Indossando un casco sotto il quale
pensava di nascondere e proteggere,
ancora una volta ma invano, tutte le
sue passioni, tutte le sue debolezze di
uomo.
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