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cuiti stradali, gare su asfalto e gare su ster-
rato e così via. E c’è soprattutto, la consue-
tudine con la velocità: al crescere della velo-
cità aumenta l'effetto tunnel per cui il cir-
cuito sembra restringersi sempre di più,
perché abbiamo paura. Nelle Indycar i pilo-
ti a 360 km/h di media guidano con una
mano sola in rettilineo mentre parlano alla
radio e ruotano la testa per guardare negli
occhi l’avversario: non c’è nulla di magico
in questo perché compiono questi gesti in
modo automatico come noi camminiamo e
contemporaneamente parliamo al telefo-
no. A questo proposito vorrei delineare la
differenza di stile di guida tra circuiti ovali
e circuiti stradali. Nei circuiti ovali conta la
“testa”, il controllo mentale, la freddezza:
percorri cento metri in un secondo e con lo
sguardo devi porre l’attenzione alla curva
successiva quasi quattrocento metri avanti
a te, imposti il volante in inserimento di
curva con precisione e accuratezza, cioè
sempre con lo stesso valore giro dopo giro,
e sempre quello giusto, per verificare tre
secondi dopo se la macchina è in pista o
contro il muro. Non c’è possibilità di corre-
zioni. Un ingegnere “controllista” ed un
etologo direbbero che si guida “in anello
aperto”, cioè devi fidarti. Per questo ad
Indianapolis è necessaria tutta una setti-
mana di prove per sviluppare la fiducia in
se stessi e nella macchina che risponde ai
nostri ordini.
Nei circuiti stradali invece si guida con il
“cuore”, spesso si improvvisa la linea in
inserimento anche all’ultimo decimo di
secondo, per cui occorre la reattività di uno
scattista; si guida “in anello chiuso” cioè
con continue retroazioni e correzioni.
L’estremo di questo stile di guida si nota nei
rally in cui il pilota non samai con esattezza
il livello di aderenza curva per curva e non
può memorizzare i dettagli di tutto il trac-
ciato».
Come al solito apri finestre molto,
molto interessanti. Proviamo a scen-
dere ancora di più nei dettagli: Indy-
Car, ALMS, DTM: quali sono in sin-
tesi le qualità che servono per affron-
tare campionati così diversi?
«Nella Indycar è fondamentale allenare il
pilota alla versatilità dei circuiti, si passa
dal tornante di Long Beach al Superspeed-
way di Indianapolis in due settimane: non
esiste altra categoria al mondo che offra
una tale varietà di tracciati. Per la Alms ed
in generale Le Mans, Daytona, Sebring, le
qualità richieste sono la pazienza, la
costanza, la cura della meccanica, del
motore e della trasmissione, la pulizia di
guida, l’abitudine a convivere con la stan-
chezza: a livello emotivo e mentale penso
che Le Mans sia impegnativa quanto una
stagione intera. Per il DTM invece, in per-
fetta coerenza con la cultura tedesca prima
viene il successo della casa costruttrice e
poi viene il tuo. Qui la domanda da farsi è:
come pilota, il mio ego è disposto ad accet-
tarlo?».
A proposito di Le Mans e Dtm: il
mondo delle ruote coperte, spesso
trascurato dai tifosi meno attenti,
offre carriere remunerative?
«Nelle ruote coperte la carriera è più lunga
perché in quel contesto è premiata la
costanza e la pulizia di guida. Alcuni piloti
italiani, tra cui Emanuele Pirro e Dindo
Capello, hanno trovato gloria e meritati
successi in quella categoria. Terminate le
stagioni delle competizioni, questi piloti
sono ambasciatori del marchio, svolgono
con divertimento vari corsi di pilotaggio,
partecipano ai festival di Goodwood o con-
ducono eventi aperti ai giornalisti».
A tuo parere servirebbe una razionalizza-
zione delle varie categorie? E’ un compito
che dovrebbe assumersi la Fia?
«Razionalizzazione è un termine edulcorato
per significare tagliare posti di lavoro, pren-
diamo l’esempio della FIA che sta cercando
di far nascere la categoria Formula 4. Que-
sta categoria sarà in conflitto con realtà con-
solidate quali la Formula Ford o la Formula
Renault, ma finché le categorie esistono
significa che ci sono piloti e sponsor interes-
sati e che il contenuto tecnico ripaga l’inve-
stimento di comunicazione, uomini, mezzi,
tecnologie. Non sempre per costruire si
deve iniziare con il distruggere l’esistente e
combattere i rivali; talvolta funziona, talvol-
ta è un disastro per tutti: vedremo se il ten-
tativo della FIA per la Formula 4 andrà a
buon fine e se si rivelerà omeno positivo per
tutto il settore del Motor Racing. Ci sarà
comunque una selezione naturale e assiste-
remo al consolidamento o alla scomparsa di
alcune categorie se gli iscritti dovessero
diminuire: in genere in periodi di contrazio-
ne restano le categorie più efficienti, quelle
cioè per cui i parametri “prezzo al chilome-
tro”, “chilometri a stagione”, “budget per
potenza motore” sono più efficienti. Questi
parametri sono molto semplici ed evidenti
per i giovani piloti e per i loro genitori che
sono i primi sponsor».
E’ possibile individuare un curriculum
ideale anche per un progettista, oltre che
per un pilota?
«Per un progettista, ed in generale per un
ingegnere del settore, oggi si parte di neces-
sità dalla Formula SAE cioè dalla competi-
zione in cui gli studenti di Ingegneria delle
facoltà di tutto il mondo, dall’Iran agli Stati
Uniti, da Israele alla Germania, dalla Cina
all’India progettano, calcolano, costruisco-
no, guidano la propria macchina in compe-
tizioni comuni a livello internazionale.
Dopo la Laurea, si aprono tre diverse car-
riere tecniche, il progettista, l’aerodinami-
co e il veicolista. Si trascorre molto tempo
non solo in ufficio, ma anche in officina
(curiosamente le due parole hanno la stessa
etimologia: “officium” cioè “opes facere”,
fare cose concrete), in galleria del vento e
al simulatore. A chi davvero ha il fuoco den-
tro, e compatibilmente con gli obblighi
familiari, suggerisco di trascorre alcuni
weekend, con il solo rimborso spese, come
responsabile acquisizione dati e poi come
ingegnere di pista per una squadra di For-
mula 3. Infine consiglio un corso di pilotag-
gio a livello base per apprendere i fonda-
menti della tecnica di guida ed essere cre-
dibile e competente quando il pilota di tur-
no cerca di spiegarsi.
Colin Chapman alla Lotus aveva installato
l’ufficio tecnico a piano terra e al centro del-
l’officina in modo che tutti i progettisti
dovessero ogni giorno attraversare i reparti
produttivi (carpenteria, torni e frese, mon-
taggio) per andare al tavolo da disegno,
incontrando quindi gli operai che costrui-
vano, montavano e riparavano le macchi-
ne. Non era infrequente sentire ad alta voce
frasi tipo “ma chi ha progettato questo?”. Il
richiamo alla realtà dei fatti non lasciava
alibi e non consentiva scuse del tipo “è stato
deciso”, “abbiamo convenuto alla riunione
di avanzamento”, eccetera. Si può pensare
anche ad un Master in Management dopo
cinque-dieci anni di esperienza lavorativa,
ma ti assicuro che l’esperienza di pista, il
contatto stretto con gli avversari che con-
dividono i tuoi stessi vincoli di budget, di
SPECIALE
IL CUORE NELLE CORSE - 7A PUNTATA
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