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FORMULA 1
RON DENNIS
Stefano Semeraro
Una domanda, come direbbe l’immortale
Marzullo, sorge spontanea: la F.1 è un paese
per vecchi? Per vecchi dirigenti, intendiamo,
per boss stagionatissimi eppure difficilissimi
da rimpiazzare, marginalizzare, dimentica-
re. Il sospetto viene a leggere le cronache che
riguardanoBernie Ecclestone e la sua incom-
piuta defenestrazione da parte della CCV,
oppure il grande ritorno di Ron Dennis alla
McLaren; o ancora la cacciata di Ross Brawn
che ha lasciata apparentemente attonita la
Mercedes. Possibile, viene da chiedersi, che
senza i Mostri Sacri il Circus dia l’impressio-
ne di incepparsi, incapace di organizzare un
ricambio al vertice? Sicuramente una parte
della colpa è della crisi economica, che ha
sottratto certezze e reso le scelte strategiche
simili ad un campo minato. Le vacche grasse
sono finite da tempo, oggi azzeccare lemosse
giuste è difficilissimo, al minimo errore si
rischia lo sprofondo. Specie quando a guida-
re le operazioni ci sono più finanzieri e inve-
stitori, attirati come le falene dai lustrini del-
la F.1 ma poco esperti delle sue logiche e dei
suoi trabocchetti. Gerard Lopez alla Lotus,
ad esempio, non ha fatto che accumulare cre-
diti, e i piccoli team sono sempre in più balia
delle onde del mercato, delle promesse vaghe
di investimento da parte di finanziatori fan-
tasma o governi pronti a rimangiarsi le pro-
messe alla primi crisi in Parlamento. Anche
in casa nostra non mancano le nostalgie:
Domenicali gode della stima di tutti, ma fati-
ca ad incidere sui destini della Ferrari, e ad
ogni pie’ sospinto scattano i rimpianti verso
l’età dell’oro di Brawn - non ha caso si mor-
mora di un suo possibile ritorno a Maranello
- Byrne e Todt. E la voce più autorevole con-
tinua ad essere quella di Luca di Monteze-
molo. Chris Horner, per spostarsi appena
oltre confine, è un teammanager penta-tito-
lato ma spesso sembra subire la personalità
di Helmut Marko, mostra i denti ma rara-
mente morde. Per anni ha faticato a domare
la rivalità fraWebber e Vettel, e se non ci fos-
seNewey a cavare a tutti le castagne dal fuoco
chissà che fine avrebbe fatto. Persino un per-
sonaggio responsabile e ragionevole come
Martin Whitmarsh è in crisi. Autosport ha
raccontato l’inopinato ritorno di Dennis
mettendolo in relazione proprio con la crisi
della McLaren, fatta di sentieri interrotti e
decisioni sbagliate - quella di ingaggiare Ser-
gio Perez ad esempio - e dipingendo uno sce-
nario nel quale l’ex-meccanico inglese, anche
se da CEO del McLaren Group e non più da
team principal, tornerà ad essere il dominus
del team di Woking. Magari allontanando
l’ipotesi di un ritorno di Alonso in Inghilter-
ra, vista la feroce antipatia che divide Dennis
dal campione asturiano, ma rimettendo sui
binari una scuderia che dopo l’addio di But-
ton sembra aver perso la rotta dell’eccellen-
za.
Anche il Supremo dei Supremi, Bernie Eccle-
stone, a 82 anni e con addosso il macigno di
una scusa per corruzione da cui dovrà difen-
dersi in Germania in aprile, sembrerebbe
aver fatto il suo tempo. Il fondo di investi-
mento che detiene la proprietà della formula
1 lo ha per il momento sospeso, ma se il pro-
cesso dovesse risolversi a favore del vecchio
venditore di macchine usate che ha fatto del-
la F.1 un business globale, il suo pensiona-
mento effettivo è tutt’altro che sicuro. “Senza
Ecclestone come ce la caveremo?” E’ la
domanda silenziosa ma udibilissima che
risuona nel paddock. All’orizzonte non si
vedono sostituti credibili, personalità cari-
smatiche in grado di gestire la transizione
verso il futuro. E nemmeno dirigenti capaci
di “spersonalizzare” il governo del Circus e
renderlo più partecipato e democratico. Ma
una F.1 fatta di vecchie cariatidi e di giovani
bamboccioni rischia di sprofondare nella
palude immobile di un eterno presente sem-
pre nostalgico del passato e incapace di tra-
sformarsi in futuro.
Ron Dennis con Martin Whitmarsh
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