Italiaracing.net Magazine - page 21

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«Forse la si può
mettere
così.
Suppongo che si
riuniscano
la
domenica per
pranzo e si goda-
no la gara».
Il team cam-
bierà nome?
«Al momento
non è nei piani.
La storia della
F.1 è fatta di
nomi che cam-
biano – e la mia
storia personale
in F.1 è piena di
simili cambia-
menti – ma per
ora non è una
priorità».
Ha già in men-
te chi saranno
i piloti nel
2015?
«Abbiamo qual-
cosa in testa, e
ovviamente ci
piacerebbe un
mix fra un pilota
esperto e un emergente di talento. Non
vogliamo perdere Marcus Ericsson, perché
il team ha investito su di lui come rookie e
ora vuole raccogliere i frutti di quell'inve-
stimento, visto che siamo convinti che
abbia le qualità per farcela. Per quanto
riguarda Kamui Kobayashi, sa che alla
Caterham per lui la porta è aperta. Ma sa
anche che deve ottenere risultati quest'an-
no. Deve aiutarci a raggiungere la decima
posizione che inseguiamo».
Quali saranno gli sviluppi a brevissi-
mo termine?
«Siamo ormai alla fine della stagione, con
ormai poche gare in trasferta dove sappia-
mo di avere pochissime chance, quindi stia-
mo lavorando soprattutto sulla parte com-
merciale. Il nostro dipartimento tecnico sta
lavorando a tempo pieno sul progetto 2015,
mentre il team è impegnato quotidiana-
mente nelle gare. Dopo Abu Dhabi tirere-
mo un po' il fiato e cercheremo di conoscer-
ci tutti meglio, cosa non facile da fare se
arrivi a stagione iniziata».
Le piace il suo ruolo?
«Questo è il problema: la risposta è sì. Mi
godo ogni singolo minuto, ogni singolo,
tormentato minuto».
Può spiegarci quali sono secondo lei
i lati deboli della Caterham? Lei ha
esperienza di molti piccoli team e di
cosa hanno bisogno per sopravvive-
re.
«Ottima domanda. Nessuno me l'ha chie-
sto fino ad ora. Darò una risposta molto
chiara: questo è un piccolo team che è sta-
to costruito come un mega, supersonico
team di alto livello. Ma così non può fun-
zionare. Bisogna essere realistici. Non so
quale fosse l'obiettivo della precedente pro-
prietà, ma non era sostenibile, e i fatti lo
hanno dimostrato».
Lei ha ereditato molto rapidamente
la posizione di team principal da
Christijan Albers. Quali sono le sue
referenze per questo ruolo?
«Sono un uomo fortunato, ma so so se sia
una fortuna diventare il team principal.
Credo di portare una grande voglia di lavo-
rare e di risolvere in fretta tutti i problemi.
Non intendo trovare la soluzione, ma esse-
re la soluzione».
E' stato il 'consulente' Colin Kolles a
rappresenta-
re la Cater-
hamall'incon-
tro dei team
p r i n c i p a l :
perché?
Da
quanto si è
capito ha solo
un ruolo di
consulente...
«Ha partecipato
al meeting per-
ché è il rappre-
sentante degli
azionisti. Fonda-
mentalmente, è
lui che ha l'ulti-
ma
parola,
anche se non è
coinvolto
nel
lavoro quotidia-
no del team. La
sua posizione è
molto simile a
quella di Helmut
Marko alla Red
Bull».
Ci può dire
qualcosa sulla
struttura pro-
prietaria del
team? A quanto si sa è composta da
un consorzio di investitori svizzeri e
del Dubai .
«Sarà molto onesto, più onesto di così non
è possibile, ci sono cose che non so e che
non è neppure previsto che io sappia. Fun-
ziona come un club di persone che sono sta-
te riunite da Colin Kolles. E' un gruppo di
persone molto ricche che hanno deciso di
puntare una fiche al Casinò. Non hanno
ambizioni in F.1, perché il loro settore è un
altro, e sono divise in parti eguali fra la Sviz-
zera e il Dubai. Perché vogliono restare
anonime? Vi do un esempio. Se sapessi un
nome e lo facessi circolare – mettiamo:
“dietro l'operazione c'è il signor Bianchi” -
sicuramente il signor Neri potrebbe dire:
perché Mr White è sulla ribalta e non ci
sono io, e poi salterebbe fuori il signor Ver-
di che direbbe che l'accordo era diverso, che
lui non vuole apparire... Insomma, la veri-
tà è che non vogliamo entrare in questo gio-
chetto pericoloso. Non vogliamo occuparsi
dell'esposizione pubblica degli azionisti.
Anche perché al momento la situazione ci
consente di lavorare in totale libertà e indi-
pendenza».
Insomma, è una specie di circolo pri-
vato?
Manfedi Ravetto
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