17 Lug [16:18]
Andreucci recupero lampo
sarà al via del Rally di Roma
Marco Minghetti
Le notizie già in arrivo a meno di 24 ore dell’incidente, sembravano solo un tentativo di esorcizzare la paura appena scampata. In realtà, Paolo Andreucci, appena capito la vera entità del danno subito nell’uscita di strada con la sua Peugeot 208 T16, ha subito cercato il modo per rimettersi al più presto in piedi per affrontare l’impegno del Rally di Roma. E così è stato, sino al comunicato in cui il garfagnino della Peugeot da appuntamento a tutti gli amanti del rally sulle strade laziali.
“L’incidente di venerdì scorso ci ha fatto prendere un bello spavento, lo devo ammettere. In realtà, la situazione è sempre stata molto migliore rispetto a quanto riportato da alcuni organi d’informazione. Ringrazio tutti i medici per la cura con cui mi hanno assistito fin dall’inizio. Mi spiace per Anna che, purtroppo, dovrà avere un decorso più lungo del mio e che non sarà al mio fianco il prossimo week end. Deve ancora recuperare pienamente. Voglio ringraziare anche la macchina dei soccorsi sul luogo dell’incidente, davvero celere ed efficace. Un grosso grazie va anche a tutti i tifosi che ci hanno dimostrato un affetto davvero incredibile. Dai social ai media, sono state tantissime le dimostrazioni di calore e vicinanze. Questo affetto ci ha aiutato e ci fa ha fatto capire quanto il rally sia amato dal pubblico”.
C’è da scommettere che qualcuno potrà storcere il naso, sulla decisione del dieci volte campione italiano di rimettersi in macchina così in fretta. In realtà, per aiutare a capire cosa passi nella testa di un campione dello sport, sarebbe utile rileggere alcune righe della bellissima intervista fatta da Stefano Semeraro al dottor Claudio Costa, inventore della Clinica Mobile del motomondiale, apparsa sul Magazine di Italiaracing qualche anno fa.
”E’ una cosa che vedo ripetersi da 40 anni: quando un pilota si infortuna vuole subito cancellare la ferita per continuare a inseguire il proprio sogno, anche se ciò significa inseguire un dramma. C’è un anima che vuole trasformare la ferita in un dono. Ogni volta che un pilota correva ferito io soffrivo, perché pensavo potesse andare incontro a danni più gravi. Anch’io sento l’impronta del Dna, che ci spinge a conservare la specie. La differenza fra uomo e animale, al di là di spirito, anima, ragione, è il cucciolo umano è debole rispetto al cucciolo degli altri animali. I cuccioli degli animali, aiutati dall’istinto, riescono a dominare l’ambiente. Noi all’ambiente dobbiamo adattarci. La Medicina di oggi in passato non c’era, l’Uomo ha imparato a salvarsi continuando a “funzionare”. La Medicina tende a bloccare chi è ferito, chi sta male, mortificando il corpo. Io invece in questi 40 anni mi sono accorto che il corpo non mortificato si esalta, trova in se stesso delle medicine che non si trovano in ospedale e in farmacia, e che danno risultati incredibili. Per questo, nel momento in cui curo un pilota, fra tutte le opportunità che la scienza mi offre io scelgo sempre quella che salvaguarda la funzione.
Il pilota, mentre corre, al di là del premio, della coppa, del titolo di campione, è costretto ad entrare in una dimensione sconosciuta all’uomo di tutti giorni, una dimensione così attraente, così affascinante, che ti spinge a correre anche ferito. E’ la stessa dimensione di chi rischia tutto al tavolo da gioco. Non si gioca per vincere, ma per assaporare la condizione perturbante di sapere che puoi perdere tutto. Una condizione che ti porta vicino a immagini, a sensazioni che chi tiene il denaro protetto nel risparmio non proverà mai. E’ la condizione descritta da Dostoevskij nel “Giocatore”, quella in cui sei disposto ad ascoltare le sirene di Ulisse pur di sconfiggere la noia e la rassicurazione della vita di tutti i giorni. Come l’Herman Hesse del “Gioco delle perle di vetro”, al ragazzo che chiede perché non è stato avvertito di quello a cui andava incontro, io rispondo: perché fino a quando non ti trovi dentro a una situazione non puoi capire cosa significa e come la affronterai”.