altre

BMW svela la M2 Racing: la porta
d’ingresso per il mondo delle corse GT

Michele Montesano A margine dell’apertura della stagione 2025 del DTM, sul tracciato di Oschersleben, BMW Motorsport ha pres...

Leggi »
Rally

Rally delle Canarie – Finale
Rovanperä vince e si rilancia

Michele Montesano Dominando il Rally delle Isole Canarie, quarta prova stagione del WRC, Kalle Rovanperä ha finalmente inte...

Leggi »
dtm

Oschersleben – Gara 2
Güven primo successo di strategia

Michele Montesano Fine settimana delle prime volte per il DTM. Trionfando nella seconda gara di Oschersleben, Ayhancan Güve...

Leggi »
dtm

Oschersleben – Qualifica 2
Gounon conquista la sua prima pole

Michele Montesano Jules Gounon è il volto nuovo del DTM. Dopo aver debuttato lo scorso anno, in occasione dell’ultimo appunt...

Leggi »
Rally

Rally delle Canarie – 2° giorno finale
Rovanperä vede la vittoria, Pajari out

Michele Montesano Barra dritta e vento in poppa. Kalle Rovanperä ha proseguito imperterrito a dettare legge nel Rally delle...

Leggi »
dtm

Oschersleben – Gara 1
Auer batte Pepper e rompe il digiuno

Michele Montesano Porta la firma di Lucas Auer il primo appuntamento stagionale del DTM. Sul circuito di Oschersleben, l’au...

Leggi »
16 Mag [19:14]

Grifone in lutto
è scomparso
Luigi Tabaton

Se ne è andato in silenzio, nel sonno, senza disturbare. Ottantasei anni compiuti il 7 marzo scorso, Luigi Tabaton è stato uno dei veri grandi uomini del mondo delle corse in Italia. Pilota di rally negli anni eroici della specialità (nella foto eccolo in azione nel 1962), è poi stato il vero animatore della Scuderia del Grifone e grande ed inimitabile talent scout di intere generazioni di piloti, genovesi e non.
La redazione di italiacing.net si unisce al dolore della famiglia Tabaton, e per ricordare degnamente Luigi si è affidata all'inimitabile penna di Guido Rancati di cui proponiamo alcune pagine prese dal libro "Storie di Rally".


Il ragazzo del venti

Basta, non ce la faccio proprio più. Sono stropicciato come un cencio e ho solo voglia di arrendermi. Per un po', vago come uno zombi nei saloni di Linate. Su, giù, di nuovo su e alla fine riesco in qualche modo a trascinarmi fino agli uffici della Tap. Lo so, lo so: il mio è uno di quei biglietti strabloccati che appena gli addetti se li trovano fra le mani, ti guardano come un miserabile e ti spiegano che non c'è proprio verso di cambiarli. Però la compagnia di bandiera lusitana è anche uno degli sponsor del rally di Madeira e hai visto mai che per un senhor jornalista non facciano uno strappo alla regola. Se hanno voglia di farla, bene; se no, va bene lo stesso. Tanto ormai ho deciso che se non mi fanno ripartire fra ventiquattro ore, l'euroappuntamento nell'isola atlantica inizierà e finirà senza di me. E che sarà mai.
Non è per niente certo che il funzionario mi sia stato a sentire e tuttavia batte qualche sigla sul computer e poi incolla sul ticket la strisciolina dell'avvenuta variante. Più che le parole, a convincerlo dev'essere stato il mio aspetto. Ha capito di avere davanti a sé un rottame umano.
Ma come fanno i marinai? Non ne ho idea: ho provato a farmi sballottare come un pacco postale e non ho tenuto botta. Il venti luglio ero al mare, poi sono andato a bollirmi per un fine settimana nell'afa biellese, quindi mi sono fatto catapultare nell'inverno neozelandese e adesso sono di nuovo immerso nel caldo padano. Avessi seguito il piano prestabilito, starei volando verso Lisbona. Invece ho alzato bandiera bianca e, in auto, con l'aria condizionata che pompa e pompa, sto seguendo le frecce per raggiungere un albergo dell'hinterland milanese.
«O santo protettore dei vagabondi, fai che ci sia posto».
La preghiera potevo anche risparmiarmela: quello dell'Idroscalo è un turismo mordi e fuggi, saremo in cinque ad avere preso alloggio in zona.
Finalmente un letto vero e, volendo, una vera sala da bagno. Dopo un giorno abbondante buttato via fra aerei e aerostazioni, puzzo come una carogna al sole della savana. Ma è la camera da letto ad attrarmi di più. Irresistibile, la tentazione di lasciarmi cadere sulle coperte almeno per qualche minuto. Riapro gli occhi dopo qualche ora e, finalmente sotto la doccia, tento un bilancio: sono nato nel gennaio quarantasette, l'estate del novantacinque se ne sta andando e quindi mi sto avvicinando ai cinquanta. Non sono più un ragazzino e nemmeno un ragazzo. Maturo, penso proprio di non diventarlo più ma almeno per l'anagrafe ho già iniziato la discesa. Sono quasi vecchio, è normale che il fisico cominci a perdere qualche colpo.
Chissà, se avessi ancora una bustina di quel bagnoschiuma defatigante preparato dal primo stregone comparso nel giro dei rally, tornerei come nuovo in un attimo. O magari no, ma ne basterebbe una goccia nel posto sbagliato per farmi saltere come un grillo. A piedi, ci andrei in Portogallo. E di corsa. È l'ultima cosa che penso prima di addormentarmi.
Quando mi sveglio è già quasi giorno. Uno yogurt, un paio di espressi e il giro del mondo può ricominciare.
«Mi stavo chiedendo dove fossi andato a finire!».
Luigi Tabaton mi accoglie con un sorriso bonario, senza ironia. Pur se potrebbe tranquillamente permettersela: quattro giorni fa era anche lui ad Auckland e anche lui era stato a Biella, ma è arrivato nella Perola do Atlantico un paio di giorni prima di me. Io non sono tanto sicuro di sapere chi sono e soprattutto perché sono nell'atrio di un grande albergo che ha i piedi nell'acqua del mare; lui, inossidabile ragazzo del venti, è fresco come una rosa bagnata dalla rugiada e s'è già calato del tutto nell'atmosfera della gara che andrà a cominciare fra qualche ora.
Mi aggiorna sui fatti della vigilia e mi traccia un quadro molto realistico di quello che succederà. Mi riassume i suoi spostamenti: domenica scorsa, qualche ora dopo la conclusione del New Zealand Rally, era saltato su un jumbo per l'Italia e aveva proseguito il volo per Lisbona e Funchal. Naturalmente, restando a terra solo il minimo indispensabile per recuperare il bagaglio. Naturalmente, viaggiando in turistica, mica in businnes. Quando mi chiede perché non ho fatto come lui, mi rendo conto di essere più vecchio di quanto pensassi e non posso far altro che chinarmi a raccogliere sul pavimento quel che resta delle mie ultime illusioni di gioventù. In un ultimo sussulto, penso che hanno proprio ragione i portoghesi: a idade nao perdoa. Io sono la regola, Luigi è l'eccezione.
Dovrei cominciare a farmene una ragione, un giorno o l'altro me la farò. Intanto mi piange il cuore a puntare la sveglia sulle sette.
«Sergio deve solo evitare di farsi prendere la mano».
Il padre-padrone, più padre che padrone, della Grifone è salito sulla montagna assai prima di me e aspettando di avere notizie della speciale che si sta correndo, commenta i risultati della precedente. Dopo uno stop lungo un anno, suo figlio Fabrizio è partito per divertirsi: l'idea di battere Piero Liatti non gli passa neppure per la testa, ma ha già rifilato qualche bella scoppolo al più giovane dei fratelli Pianezzola che ha una Celica più o meno come la sua. E non pare un gran bel segno per il rallysmo italiano, almeno in prospettiva futura. Il Grande Vecchio invita alla calma, osserva che per il bassanese si tratta del debutto sulla supercar giapponese e congela ogni giudizio. Ha sempre difeso i giovani e quasi sempre i fatti hanno poi dimostrato che aveva ragione.
A ripensare a tutti quelli che ha tirato su, ci si accorge che si fa più presto a citare quelli che hanno percorso altre strade. E non basta un tomo per elencare tutti quelli che ha contribuito a portare in alto. Non tutti gli hanno detto grazie, c'è chi ha fatto finta di niente e anche chi se n'è andato sbattendo la porta. C'est la vie. Lui comunque non ne ha scordato nessuno.
«Franco Patria sarebbe diventato grandissimo».
Capita che ogni tanto qualcuno si svegli con l'insensata idea di cercare il supercampione di ogni tempo, il re dei re, e inevitabilmente cerca di coinvolgerlo. È un giochino scemo e non ci sta, ma sfrutta l'occasione per rendere omaggio a un ragazzo che aveva il piede e la testa e l'ambizione per entrare nella leggenda.
Torinese di nascita, sanremese d'adozione, era approdato giovanissimo alla Grifone. E magari ci sarebbe rimasto, se il dottor Tabaton lo avesse guardato scuotendo la testa. Ma come si fa a chiedere a un ventenne di dire di no alla Lancia? Vai sereno, ragazzo. Era andato, aveva continuato a vincere e a sognare la Formula 1. Fino a quando, a Montlery, sotto il diluvio, era stato travolto con la sua Abarth dalla Jaguar impazzita di tal Lindner.
Mauro Pregliasco, Tony Fassina, Adartico Vudafieri e poi Franco Cunico, Carlo Capone, Piero Liatti, Gibo Pianezzola… Tutti passati alla scuola genovese. Come Attilio Bettega, un altro indimenticabile. Un altro volato via troppo presto. Al Dottore era piaciuto subito, lo aveva adottato.
Dieci anni dopo il botto fatale nel maquis corso, dice che Fabrizio nei suoi anni ruggenti sbagliava troppo proprio per dimostrare, soprattutto a lui, di andare più forte del trentino.
«Campioni si nasce».
Su questo, il ragazzo del venti non ha dubbi. Ma è anche convinto che il talento da solo non basta, bisogna coltivarlo, affinarlo. Non gli sembra giusto chiedere a chi comincia a correre di arrangiarsi da solo, è profondamente convinto che tocca a chi gli sta intorno darsi da fare per tirarne fuori tutte le dote naturali. È un impegno mica da ridere, ma lui lo sa fare meglio di tutti. Questione di sensibilità, di intelligenza e di una passione che sconfina nella fede, quella che smuove le montagne. E ti fa girare per il mondo come una trottola per tre settimane. Al Lana per Andrea Dallavilla, in Nuova Zelanda per Andrea Navarra e in mezzo al mar per suo figlio e per il fratellino di Gibo.
Fra agapanti e ortensie, con l'aria di che ha fatto una marachella, racconta che quella è la sua vita. Poi prova a convincere il vecchio cantastorie che ha di fronte di essere stato fortunato nel pescare con disarmante frequenza i pilotini giusti. Intanto tiene d'occhio gli uomini della squadra che lui ha fatto grande giorno dopo giorno. Il capo ora è Fabrizio, a tutti gli effetti. Ma l'HF Engineering è stato lui a volerla.
«Scuderia? Mica vado a cavallo!».
Giura che così rispose a un cliente che insisteva a consigliargli di iscriversi alla Scuderia del Grifone. Era il cinquantasei, s'era appena comperato una Giulietta e l'aveva battezzata alla Pontedecimo-Giovi. Il ritorno del guerriero, dopo una pausa di qualche stagione perché nell'Italietta che si leccava le ferite della guerra era assolutamente normale fare delle scelte. E per acquistare una farmacia a Genova aveva sacrificato la Topolino delle sue prime corse.
È stato buon pilota in salita, ottimo regolarista e pioniere nei rally. Al primo Rallye dei Fiori, lui c'era. Gareggiava e faceva il direttore sportivo, poi è divento il punto di riferimento della Grifone.
Qualche anno fa, quando ha ceduto al secondogentito il comando di una squadra diventata azienda, gli avevano offerto una carica onorofica. L'ha rifiutata perché sostiene che alla sua età i titoli non servono. L'unico ruolo che s'è dato non figura in nessun organigramma: ha scelto di essere il cuore.
Il rally va avanti e il Dottore pure. Non molla proprio mai. Fabrizio fora, recupera e manca il podio di un niente, Sergio alza il ritmo e chiude al quinto posto. È finita, domattina si riparte.