25 Gen [15:04]
Guy Frequelin
Dice Jean Todt: “Guy è un uomo leale e fedele”. Il dirigente ferrarista non distribuisce apprezzamenti a cuor leggero. Il suo è un giudizio che vale, maturato in una lunga frequentazione quando entrambi erano protagonisti sulle strade dei rally e rafforzato dal tempo. Frequelin e Todt hanno diviso gioie e delusioni, insieme hanno vinto il Rally d’Argentina dell’81 e insieme, im quello stesso anno, hanno sfiorato il titolo iridato. Poi le loro strade si sono divise: uno ha continuato a gareggiare e l’altro s’è impegnato a dare concretezza alle rinate ambizioni corsaiole della Peugeot. Ma non si sono mai persi di vista. E se Todt non ne avesse intuito prima e meglio di tutti gli altri le doti manageriali, Frequelin non sarebbe mai diventato il numero uno della Citroen Sport.
Sessantadue anni il prossimo aprile, Guy Frequelin è appena tornato in trincea. Con un obiettivo ambizioso: fare in modo che Sébastien Loeb aggiunga con la C4 un altro titolo iridato, il quarto, a quelli conquistati in rapida successione con la Xsara e offrire ai concessionari della Casa che ha come emblema la doppia spiga rovesciata un altro alloro mondiale da sfruttare nella battaglia quotidiana per non perdere colpi sul mercato. L’esito del primo esame lo ha rassicurato: sulle strade desolatamente “pulite” della Drome e dell’Ardeche, i suoi due alfieri hanno maramaldeggiato. Primo e secondo, Loeb e Sordo hanno rastrellato i primi 18 punti della stagione: se è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera, il condottiero dell’Armata Rossa potrebbe rilassarsi. Invece resta teso e vigile come sempre: “L’annata – osserva – è appena iniziata. E la strada che porta al titolo è ancora lunga”.
Rigoroso ed esigente, molto esigente. Le Freq è fatto così. Lasciava poco al caso quando si guadagnava da vivere stringendo fra le mani un volante ed aggrediva con la stessa bravura prove speciali, circuiti e salite. Ne lascia ancor meno da quando la tuta ignifuga non è più la sua tenuta da lavoro. “E come potrei farlo?”, chiede. Spiega: “Dirigere il reparto corse di una grande Casa comporta una serie di responsabilità enormi e non mi perdonerei mai di non avere fatto tutto il possibile per ottenere il miglior risultato possibile”. Sa che il lavoro prima o poi paga e ci dà dentro con l’entusiasmo di un ragazzino. Anche se da un anno e passa ha raggiunto l’età della pensione. Alla fine del 2005 avrebbe potuto salutare tutti e ritirarsi a Langres. L’avrebbe fatto, se i vertici del Gruppo PSA non avessero deciso di chiudere con i rally. Per far cambiare loro idea s’è battuto agli stramassimi e alla fine l’ha spuntata. Ma a quel punto Claude Satinet, il numero uno di Citreon Automobiles, ha dettato le condizioni: “Torneremo a frequentare il mondiale solo se sarà ancora lei a gestire la squadra”. Ha accettato, ça va sens dire. Nel fine settimana del Montecarlo è tornato in trincea. Per restarci almeno fino alla fine dell’anno.
Orecchie dritte e occhi bene aperti, al parco assistenza di Valence ha consumato un paio di scarpe nell’avanti-indré fra il camion-comando e la tenda della sussistenza. Senza più un elicottero a disposizione per saltare da una prova all’altra, ha sofferto come non non mai. “Mi ci dovrò abituare”, ha ripetuto spesso. Facendo notare che per contenere i costi ha rinunciato ad avere a disposizione un “calabrone”. Del resto, si sa che a volte anche i ricchi piangono.
“Adesso ho la certezza di aver fatto bene ad insistere per dare continuità alla presenza del marchio nel mondiale rally”, ha mormorato sul porto del Principato dopo che entrambe le voitures rouges” avevano concluso la kermesse finale. Prima, come sempre, non lo avrebbe detto neppure sotto tortura. “È che – afferma – le corse sono imprevedibili e non è davvero il caso di parlare fino a quando non sono finite...”. Bretelle e cintura, insomma. E la voglia feroce di continuare a fare bene. Per chiudere in bellezza e per non smentire Jean Todt.
di Guido Rancati