Marco CortesiPorsche, Audi, Le Mans, i ritiri. Un filo sottile lega due vetture mai nate, che per vari motivi hanno dovuto sottostare a decisioni più grandi di loro. Mentre in pista si affacciava il dominio Audi che sarebbe durato per oltre un decennio, nel 2000 i tecnici di Weissach avevano pronta la loro arma definitiva, codice di sviluppo 9R3. Sviluppata in pieno per la classe LMP900, avrebbe dovuto lottare in pista con la R8. Per maggiore modernità, aveva pagato il prezzo di abbandonare il motore boxer, sostituito dal V10 originariamente costruito per la Footwork Arrows FA12 da Formula 1, replicando un po’ il sistema utilizzato dalla BMW con la LMR, di fatto una mezza F1 sviluppata in Williams.

Era però il periodo in cui la Porsche si stava ristrutturando. Wendelin Wiedeking, chiamato a salvare l’azienda, aveva deciso di tagliare i “rami secchi” e puntare su nuovi prodotti, a partire dall’idea della Cayenne. Per ottenere dalla Volkswagen il pianale della Touareg, parte del prezzo fu la fine della 9R3, anche se la motorizzazione andò a rivivere nella Carrera GT di qualche anno dopo. A riportare alla luce la storia è stata quest’anno la rivista Racecar Engineering…

La ristrutturazione delle attività aziendali ha messo KO anche la R18 TDI 2018, che in più ha pagato ovviamente i vari scandali del dieselgate. Non solo a livello finanziario, per le multe imponenti da pagare, ma anche di immagine: l’idea del “diesel pulito e vincente” ha subito un colpo impossibile da sopportare. Addirittura è in discussione la sopravvivenza dell’idea di diesel come l’abbiamo conosciuta.
Difficile che però la R18 2017 possa trovare uno sbocco. Si è parlato di una possibilità da parte del team Joest di metterne in pista un modello privato, senza sistemi ibridi, ma gli interrogativi sull’utilità di un tale progetto si sprecano. Più che l’ibrido o un tipo di motorizzazione in se, a fare la differenza è proprio il supporto “pesante” e continuo di un costruttore a fare la differenza…