17 Gen [0:32]
Il miracolo compiuto da Mr.Adams:
dopo il ciclismo, Israele conosce la F1
Massimo Costa
Chiamateli come volete: filantropi, mecenati, capitani di industria. La storia della F1 abbonda di tali personaggi che hanno aiutato, permesso, la costruzione di carriere dei piloti e anche la creazione delle squadre. Magari come semplici sponsor, magari come finanziatori occulti. Ricchi uomini di affari folgorati sulla via dei box. Il motorsport fa spesso questo effetto. Gli ultimi in ordine di tempo sono l'indonesiano Ricardo Gelael, che oltre a pensare al percorso agonistico del figlio Sean, ha permesso ad Antonio Giovinazzi di debuttare in monoposto permettendone, passo dopo passo, l'approdo alla Formula 2.
La lista comprende Lawrence Stroll che per l'erede Lance è entrato dapprima nel team Prema, poi ha rilevato un team di F1, la Force India, chiamandola Racing Point. Ma nel contempo ha aiutato lo sviluppo delle carriere di Nick Cassidy e Felix Rosenqvist affiancandoli a Lance in F3 e rilanciandone l'immagine tanto che ora sono divenuti dei professionisti a tutti gli effetti rispettivamente in Giappone e negli USA. Abbiamo poi un altro genitore, Dmitry Mazepin, che per il suo Nikita è entrato nel team Hitech facendolo crescere a suon di investimenti. Nomi importanti quelli citati, milionari e bilionari presenti nelle classifiche degli uomini più ricchi del mondo. Sono, però, padri, quindi emotivamente coinvolti fin da quando i loro figli hanno mosso i primi passi nel karting.
Ecco quindi che l'ultimo arrivato, che si aggiunge al terzetto sopra citato, è una mosca bianca da questo punto di vista e in questi ultimi tempi. Ve lo abbiamo presentato mercoledì, in occasione della presentazione di Roy Nissany quale tester della Williams. Si chiama Sylvan Adams e fino a pochi mesi fa, le corse in macchina le aveva viste soltanto in tv. E neanche troppe volte. Nato a Quebec City nel 1958, ma di origini israeliane, il padre Marcel è un sopravvissuto dell'Olocausto. In Canada, ha poi creato una fortuna nel campo immobiliare e il figlio ne ha ereditato le qualità. La rivista Forbes colloca la famiglia Adams fra le prime 1400 del mondo in quanto a ricchezza.
Sylvan, oggi 61enne, ha sempre sentito molto forte l'appartenenza allo stato israeliano e negli ultimi anni, nonostante gli impegni come CEO della Iberville Developments, una delle maggiori compagnie canadesi nell'ambito immobiliare, ha rivolto grande attenzione ad Israele e anche al mondo dello sport. Come? Finanziando vari progetti scolastici e medici attraverso fondazioni come la Israel Academy of Sciences and Humanity, donando 5 milioni di dollari a un progetto spaziale per portare Israele sulla luna, ha realizzato un ospedale e anche un velodromo. E sì, perché da una ventina di anni ha scoperto la grande passione per il ciclismo e non poteva non creare una squadra professionistica israeliana che quest'anno parteciperà al Tour de France mentre nel 2018 ha portato il Giro d'Italia in Israele. Il suo intento è quello di far conoscere il suo secondo Paese nel mondo sotto un altro aspetto, lontano dai problemi storici e insormontabili che tutti sappiamo legati al Medio Oriente.
Uno sforzo enorme quello di Adams, un vero filantropo (come il padre) apprezzatissimo a livello politico. Adams, come dire, sta muovendo le acque come mai nessuno prima. E proprio attraverso il ciclismo ha conosciuto pochi mesi fa Roy Nissany. Il ragazzo gli è subito piaciuto e ha visto in lui il personaggio-pilota perfetto per portare Israele in un altro ambito sportivo: quello della F1. Che Adams non conosce, ma è consapevole della potenza mediatica che si porta dietro, della grande visibilità. Ha così iniziato a visitare qualche Gran Premio e ne è rimasto impressionato. Adams ha così messo a disposizione tutto quello che necessitava a Nissany per entrare nell'ambito della F1. Roy ha corso a lungo nelle serie propedeutiche grazie alla sua passione e a quella del padre Chanoch, sempre abile nel trovare sponsor. Ma senza Adams, il salto verso la Williams e la F1 non sarebbe stato possibile.
Nel corso della presentazione Nissany- Williams, Adams era felicissimo di aver portato un ragazzo israeliano in un team storico come quello della squadra inglese, seppur in una fase di decadenza. Ma questo non importa, soprattutto per un Paese come Israele che non conosce nulla della F1, che non ha tradizione nel motorsport, che non ha circuiti (se non un piccolo tracciato di un paio di chilometri), anzi il motorsport era (e forse lo è ancora, non è ben chiaro) bandito dal Paese. Come in Svizzera. Nissany ha visto in queste ore la sua popolarità salire alle stelle. Tutte le TV del Paese, tutti i giornali, erano presenti al Shimon Peres Center of Peace dove si è tenuta la conferenza e dove era presente la FW 41 del 2018, ammirata come fosse la Gioconda. Mai prima una F1 era apparsa a Tel Aviv, in Israele. Un oggetto sconosciuto, uno sport di cui si sa poco, ma che è visto come qualcosa di enorme, irraggiungibile. Tanto che Nissany è apparso a tutti come una sorta di astronauta, un pioniere.
Qualcuno riderà leggendo le righe di cui sopra, perché in Europa, in Italia, la F1 è di casa, come il calcio. Ma se provate per qualche secondo a immaginare di vivere in una nazione dove l'automobilismo, e anche il motociclismo, non esiste di fatto, dove la F1 la si vede in qualche highlights dei telegiornali, per qualche secondo nulla di più, ed è immaginata come un qualcosa che nessun israeliano potrà mai raggiungere, ecco, forse capite l'importanza dell'accordo Nissany-Williams. Come finirà poco conta, l'importante è avere scardinato un portone saldamente sbarrato. E il merito è tutto di mister Adams.