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26 Mar [2:09]

L'Arabia Saudita è come la Russia,
ma il circus della F1 non si tira indietro

Massimo Costa e Alfredo Filippone

L'errore di base è accettare di andare in "certi" Paesi. Di riceverne sponsorizzazioni e di conseguenza tanti soldi. Di non sapere dire di no. Poi, accade quello che si doveva immaginare. La Russia di Vladimir Putin, dopo aver invaso Georgia, Cecenia, Crimea, dopo avere eliminato ogni oppositore politico imprigionandolo o tentando di toglierlo di mezzo col barbaro veleno, avere cancellato ogni idea di libertà mediatica, avere impedito di manifestare liberamente in piazza, scatena una guerra violenta e di altri tempi in Ucraina. La reazione del resto del mondo è immediata, la Russia viene isolata dal punto di vista politico, economico e sportivo.

La F1 non è da meno e anche se all'inizio tentenna pronunciando l'orribile frase "monitoriamo quel che accade" lasciando intendere che magari per settembre, il mese in cui era programmato il GP di Sochi, le cose si sarebbero sistemate (dimenticando morte e distruzione), cambia il tiro 24 ore dopo e toglie dal calendario la gara in Russia. Certo, tanti facevano onestamente affari con gli oligarchi e compagnia bella, nel 2018 i mondiali di calcio si sono svolti nel Paese di Putin come altri avvenimenti sportivi. Ovviamente tutti sapevano quel che accadeva, ma ci si voltava dall'altra parte in onore del business, finché è stata superata quella che è la linea rossa della morale globale.

Questa linea rossa, da tempo metteva dall'altra parte, quella dei cattivi, l'Arabia Saudita. Piano piano è iniziato un tentativo da parte dei locali reggenti, di rendere quel Paese così arcaico nei propri costumi, ma ben moderno negli affari economici, appetibile. Nonostante  una evidente mancanza di libertà dei diritti umani, delle donne nella vita sociale, l'assenza di libertà mediatica e di tutto quello che noi occidentali riteniamo ovvio nel quotidiano, il mondo dello sport è stato attratto da assegni cospicui (staccato pure a qualche politico conferenziere...). E così è arrivato il calcio italiano, poi il tennis e infine il motorsport. Prima con la Formula E, poi con la Dakar, preludio al raggiungimento del sogno F1. Lo sport è il mezzo migliore utilizzato dai dittatori per dare una immagine pulita, di modernità, del Paese che affliggono. 

Neanche quattro anni fa, il giornalista notoriamente critico nei confronti di Mohammad Bin Salman, principe ereditario dell'Arabia Saudita, è stato ucciso. Le inchieste svolte hanno portato proprio a Bin Salman come il mandante. Ma nulla di concreto è accaduto nei suoi confronti e ci si è fermati all'indignazione. Su di lui tante altre accuse riguardanti il metodo di azione utilizzato dal personaggio verso contestatori di ogni genere e via dicendo. Proprio Bin Salman però, se da una parte usa l'accetta, dall'altra sta tentando di dare una immagine moderna dell'Arabia Saudita. 



Se giustamente il mondo si è indignato per l'aggressione russa ai danni dell'Ucraina, non ha mai visto (se non distrattamente in qualche telegiornale in servizi di pochi secondi) la distruzione sistematica che l'Arabia Saudita sta conducendo da sette anni ormai, nei confronti del lontano Yemen. Una guerra civile avviata nel 2014 dalle milizie Houthi che deposero il presidente dell'epoca, ha finito per coinvolgere l'Arabia Saudita (e altre nazioni tra cui gli Emirati Arabi) desiderosa di instaurarvi un regime affine. L'Arabia Saudita si è resa  protagonista di una serie di violazioni infinite delle leggi di guerra, come hanno più volte rilevato Human Rights Watch e l'ONU, mentre l'UNICEF, anche pochi giorni fa, ha sottolineato come i bambini siano le vittime principali. Lo Yemen è oggi un Paese poverissimo, ridotto alla fame, ma questo non ha preoccupato nessuno, portando Liberty Media e la FIA ad organizzare Gran Premi di F1 nel Paese aggressore. 

Se si è deciso poche settimane fa di cancellare la Russia dal motorsport, perché non lo si fa anche con l'Arabia Saudita che si sta comportando nello stesso modo? Non sarebbe giusto ricordare che il conflitto nello Yemen ha provocato decine di migliaia di vittime civili e colpito duramente la popolazione yemenita? Gli eventi motoristici sono finiti nel mirino della resistenza Houthi filo-iraniana che cerca di resistere all'Arabia Saudita. La fiammata al deposito Aramco (che paga la festa a Jeddah) non è casuale, ma già lo scorso anno vennero lanciati razzi su Al-Diriyah durante l'E-Prix di Formula E (episodio volutamente minimizzato) e quest'anno alla Dakar un ordigno esplosivo posto sotto la vettura di un veicolo di assistenza veloce, ha gravemente ferito un concorrente francese, un episodio che le autorità transalpine, dopo avere condotto una inchiesta, hanno bollato come 'attentato'.

Ecco, non ci si meravigli dunque se a Jeddah, mentre i venti piloti del Mondiale F1 girano in pista, si verifica un attacco missilistico poco più in là, colpendo guarda caso un deposito petrolifero dell'Aramco. Già domenica c'era stato un altro episodio del genere e altri attentati sono proseguiti per tutta questa settimana colpendo vari punti strategici con droni esplosivi in altre città dell'Arabia Saudita. Sembra tutto perfettamente programmato per richiamare l'attenzione del mondo nella settimana di massima visibilità per via dell'arrivo della F1. Nel paddock tutti si sono spaventati, scoprendo (ma guarda un po'), che l'Arabia non è poi un posto tanto tranquillo), ma Stefano Domenicali ha rassicurato tutti nonostante qualche pilota abbia pensato di fare le valigie: "Le autorità hanno posizionato ogni tipo di sistema per proteggere la zona del circuito e noi ci fidiamo. Ministri ed esponenti del governo sono qui con loro familiari", ha detto con sicurezza il CEO di Liberty Media. 

Con quale serenità si possa mai disputare un Gran Premio, un evento sportivo, in queste condizioni, in questo Paese, non lo sappiamo e, soprattutto, non riusciamo a comprenderlo.
RS Racing